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Provvedimento del 21 aprile 2021 [9682147]

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[doc. web n. 9682147]

Provvedimento del 21 aprile 2021

Registro dei provvedimenti
n. 152 del 21 aprile 2021

IL GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI

NELLA riunione odierna, alla quale hanno preso parte il prof. Pasquale Stanzione, presidente, la prof.ssa Ginevra Cerrina Feroni, vicepresidente, il dott. Agostino Ghiglia e l’avv. Guido Scorza, componenti, e il cons. Fabio Mattei, segretario generale;

VISTO il Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 (di seguito, “Regolamento”);

VISTO il Codice in materia di protezione dei dati personali, recante disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento nazionale al Regolamento (UE) 2016/679 (d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101, di seguito “Codice”);

VISTO il reclamo presentato al Garante ai sensi dell’art. 77 del Regolamento, in data 23 settembre 2021 dal sig. XX, rappresentato dall’avv. Domenico Bianculli, nei confronti di Google LLC, con il quale il reclamante ha chiesto la rimozione dai risultati di ricerca reperibili in associazione al proprio nome e cognome di 4 URL rinvianti ad un post anonimo pubblicato sul profilo Facebook “XX” il XX, nel quale lo si accusa di essere il responsabile di una serie di iniziative truffaldine, ispirate al meccanismo della “piramide a livelli”;

CONSIDERATO, in particolare, che il reclamante ha sostenuto che:

- all’interno del suddetto post lo stesso viene descritto come “un genio del crimine [….] pieno di guai con la giustizia”, dedito “alla frode e alla truffa” su tutti i livelli, “scomparso nel nulla […] in attesa che la finanza s’interessi della sua attività”, “un gaglioffo, un ameno, una persona avida, un truffatore”;

- non ha mai avuto precedenti giudiziari, né pendenze con la legge, come risulta dal certificato del casellario giudiziale allegato;

- il motivo dei contenuti di cui sopra è da rinvenire nel fatto che l’azienda di commercio elettronico denominata “XX”, di cui era direttore, fu citata presso il Tribunale di Giustizia di XX (Brasile), all’esito del quale, il XX, il giudice respingeva le richieste dei ricorrenti e affermava che l’azienda “XX” fosse un’azienda seria e non truffaldina;

- vista la popolarità del progetto all’epoca dei fatti, molti utenti, anonimi e blogger intrattenevano in rete “discussioni” aventi contenuti provocatori, irritanti e fuori tema, al fine di calunniare e screditare l’interessato;

- da circa 7 anni non ha più alcun rapporto con l’azienda “XX”;

- può invocare il diritto all’oblio rispetto agli URL contestati sulla base di quanto previsto dall’art. 17 del Regolamento e dalla sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea C-131/12 del 13 maggio 2014, in quanto questi condurrebbero ad informazioni da considerarsi al contempo false (data la sua estraneità ad ogni procedimento penale), e prive di interesse pubblico;

- inoltre, l’art. 5 del Regolamento prevede che i dati personali devono essere “raccolti per finalità determinate, esplicite e legittime”, devono essere “esatti e, se necessario, aggiornati”, e altresì che vanno “adottate tutte le misure ragionevoli per cancellare o rettificare tempestivamente i dati inesatti rispetto alle finalità per le quali sono trattati”, per cui deve ritenersi illecita la diffusione non solo di dati obsoleti, ma anche di dati inesatti;

- il diritto fondamentale del privato cittadino alla propria immagine e reputazione non può essere assoggettato a una presunta preminenza di un indeterminato interesse pubblico alla conoscibilità di alcune informazioni, soprattutto quando queste informazioni sono pubblicate da utenti anonimi con l’intento di avviare discussioni offensive e calunniatrici;

- non sussiste alcun interesse pubblico a conoscere informazioni false e, pur volendosi riconoscere il diritto degli utenti di Facebook a scrivere “quello che vogliono” all’interno della community nella quale si trovano, non è giustificabile che Google lasci indicizzate queste discussioni nelle ricerche correlate al nominativo dell’interessato;

- chiede, in nome del diritto all’oblio, che i “gruppi di discussione” Facebook non siano più liberamente consultabili tra i risultati di ricerca Google correlati al suo “nominativo”, essendo i relativi contenuti infondati, erronei, obsoleti e non più rispondenti alla realtà dei fatti;

PRESO ATTO che il reclamante ha precisato di aver inviato a Google, l’8 marzo 2020 2020, una richiesta di deindicizzazione degli URL in questione, che è stata rigettata;

VISTA la nota dell’1° ottobre 2020 con la quale questa Autorità ha chiesto a Google, in qualità di titolare del trattamento, di fornire riscontro alla richiesta del reclamante e di far conoscere se avesse intenzione di adeguarsi ad essa;

VISTA la nota del 21 ottobre 2020, con la quale Google ha dichiarato di non poter aderire alla richiesta di deindicizzazione degli URL in esame, per le seguenti considerazioni:

- gli URL rimandano tutti ad uno stesso post del profilo Facebook denominato “XX”; tale profilo, secondo quanto riferito nella relativa sezione “Informazioni”, sarebbe dedicato alla “lotta contro: bufale, disinformazione, allarmismi gratuiti e frodi online”; nel post segnalato viene riferito che il reclamante sarebbe stato l’amministratore di una società denominata “XX” a capo di un sistema di marketing piramidale e si legge altresì che il sig. XX “avrebbe avuto guai con la legge in Brasile (e non solo)”.

- l’interessato non fornisce elementi sufficienti per comprendere se detti contenuti siano “inesatti” e quindi “gratuitamente offensivi”, limitandosi a fornire il certificato del proprio casellario giudiziale relativo all’Italia senza specifici riferimenti o documenti relativi alle asserite accuse di frode formulate a suo carico in Brasile;

- di conseguenza, Google ritiene che la richiesta di rimozione del reclamante debba essere considerata esclusivamente rispetto alla censura relativa alla presunta diffamazione, e non invece all’esercizio del diritto all’oblio ai sensi dell’art. 17 del Regolamento e, pertanto, non può ritenersi di competenza del Garante;

- i contenuti del post sono di interesse generale, e tale interesse risiede nella recente data di pubblicazione dell’articolo e nella gravità dei fatti rilevati; gli URL, infatti, rimandano ad informazioni afferenti all’attività professionale ed imprenditoriale svolta dal reclamante in diversi paesi del mondo, ritenendosi pertanto sussistere un interesse della collettività alla reperibilità di informazioni di cronaca riconducibili al ruolo svolto dallo stesso in diversi paesi del mondo.

VISTA la nota del 28 ottobre 2020 con il quale il reclamante, in replica alle argomentazioni fornite da Google, ha precisato che:

- in forza dei trattati internazionali e dei rapporti tra Stati, le sentenze penali straniere sono riconosciute in Italia e trascritte nel casellario giudiziale;

- anche in assenza di un accordo in materia con lo Stato da cui proviene il provvedimento, il riconoscimento della sentenza penale straniera avviene ai sensi dell’art. 730 c.p.p., e si applica anche nel caso di esecuzione di confisca, e di relativi provvedimenti con atti diversi della sentenza di condanna;

- le informazioni per le quali si richiede la rimozione degli indici di ricerca Google sono in violazione del punto 7 delle “Linee guida” adottate il 26 novembre 2014 a seguito della sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea del 13 maggio 2014 (Causa C-131/12), in base al quale le informazioni che non sono più ragionevolmente attuali e divenute inesatte perché non più aggiornate siano rimosse, e il punto 8 delle stesse, nel quale si ribadisce che i risultati di ricerca debbano essere rimossi qualora il trattamento dei dati arrechi un pregiudizio ed abbia un impatto negativo;

- che non intende censurare una diffamazione, ma tutelare sé stesso rispetto alla diffusione di dati personali inesatti, non aggiornati e non veritieri;

PRESO ATTO che, in data 25 marzo 2021, il legale del reclamante, su richiesta dell’Autorità, ha inviato copia del provvedimento di archiviazione della causa sopra citata;

CONSIDERATO preliminarmente che:

- nei confronti di Google LLC trova applicazione, per effetto delle attività svolte in ambito europeo attraverso le proprie sedi, il principio di stabilimento e che pertanto i relativi trattamenti sono soggetti alle disposizioni del Regolamento in virtù di quanto previsto dall’art. 3, par. 1;

- il trattamento di dati personali connesso all’utilizzo del motore di ricerca di Google risulta tuttavia direttamente gestito, anche per il territorio UE, da Google LLC, avente sede negli Stati Uniti;

- tale circostanza è idonea a fondare, ai sensi dell’art. 55, par. 1, la competenza del Garante italiano a decidere i reclami ad esso proposti con riferimento al proprio territorio nazionale;

CONSIDERATO che, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, chiunque, in un procedimento dinanzi al Garante, dichiara o attesta falsamente notizie o circostanze o produce atti o documenti falsi ne risponde ai sensi dell'art. 168 del Codice “Falsità nelle dichiarazioni al Garante e interruzione dell’esecuzione dei compiti o dell’esercizio dei poteri del Garante”;

VISTI gli artt. 17 e 21, par. 1, del Regolamento;

CONSIDERATO che, ai fini della valutazione dell’esistenza dei presupposti per ritenere applicabile il diritto all’oblio, occorre tenere conto, oltre che dell’elemento costituito dal trascorrere del tempo, anche degli ulteriori criteri espressamente individuati dal WP Art. 29 – Gruppo Articolo 29 sulla protezione dei dati personali attraverso le apposite “Linee Guida” adottate il 26 novembre 2014 sopra citate nonché le “Linee guida n. 5/2019 sui criteri del “Right to be Forgotten” nei casi dei motori di ricerca”, adottate dall’EDPB il 7 luglio 2020;

RILEVATO che:

- secondo le Linee Guida adottate il 26 novembre 2014 di cui sopra va garantita, in linea generale, “la deindicizzazione di informazioni ragionevolmente non attuali e che siano divenute inesatte poiché obsolete”;

- secondo le medesime linee guida, va vista “con favore la deindicizzazione di risultati concernenti reati relativamente minori commessi in periodi molto risalenti”;

- il post anonimo pubblicato su Facebook contiene una serie di notizie risalenti a fatti relativi al 2013 e ad anni anteriori;

- a prescindere dal carattere più o meno inesatto delle notizie ivi presenti ed eventualmente dai loro profili diffamatori – peraltro difficili da riscontrare, visto che le indicazioni ivi contenute appaiono imprecise e generiche – esse risultano non aggiornate (se non altro in quanto non tengono conto del provvedimento di archiviazione del Tribunale brasiliano intervenuto poche settimane dopo il post in questione) e ormai obsolete;

RITENUTO, pertanto, di dover considerare il reclamo fondato in ordine alla richiesta di rimozione degli URL indicati nella memoria prodotta dal titolare del trattamento e di dover, per l’effetto, ingiungere a Google LLC, ai sensi dell’art. 58, par. 2, lett. c) e g), del Regolamento, di disporne la rimozione quale risultato di ricerca reperibile in associazione al nominativo dell’interessato, nel termine di venti giorni dalla ricezione del presente provvedimento;

RILEVATO, tuttavia, che la misura adottata nel caso in esame nei confronti della predetta società discende da una valutazione effettuata dall’Autorità sulla base delle specificità del singolo caso e che, pertanto, l’iscrizione di essa nel registro interno sopra citato non potrà essere ritenuta, in eventuali futuri procedimenti incardinati nei confronti del medesimo titolare del trattamento, quale precedente pertinente ai fini previsti dall’art. 83, par. 2) lett. c), del Regolamento;

VISTA la documentazione in atti;

VISTE le osservazioni formulate dal segretario generale ai sensi dell’art. 15 del regolamento del Garante n. 1/2000;

RELATORE l’avv. Guido Scorza;

TUTTO CIÒ PREMESSO IL GARANTE

ai sensi dell’art. 57, par. 1, lett. f) del Regolamento, per le ragioni di cui in premessa dichiara il reclamo fondato con riguardo agli URL indicati nella memoria di Google e, per l’effetto, ai sensi dell'art. 58, par. 2, lett. c) e g), del Regolamento, ingiunge a Google LLC di disporne la rimozione quali risultati di ricerca reperibili in associazione al nominativo dell'interessato, nel termine di venti giorni dalla ricezione del presente provvedimento.

Ai sensi dell'art. 157 del Codice, si invita Google LLC a comunicare, entro trenta giorni dalla data di ricezione del presente provvedimento, quali iniziative siano state intraprese al fine di dare attuazione a quanto ivi prescritto. Si ricorda che il mancato riscontro alla richiesta di cui sopra è punito con la sanzione amministrativa di cui all'art. 166 del Codice.

Ai sensi dell’art. 78 del Regolamento, nonché degli artt. 152 del Codice e 10 del d. lgs. 1° settembre 2011, n. 150, avverso il presente provvedimento può essere proposta opposizione all’autorità giudiziaria ordinaria, con ricorso depositato, alternativamente, presso il tribunale del luogo ove risiede o ha sede il titolare del trattamento ovvero presso quello del luogo di residenza dell'interessato entro il termine di trenta giorni dalla data di comunicazione del provvedimento stesso ovvero di sessanta giorni se il ricorrente risiede all’estero.

Roma, 21 aprile 2021

IL PRESIDENTE
Stanzione

IL RELATORE
Scorza

IL SEGRETARIO GENERALE
Mattei