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Ordinanza ingiunzione nei confronti di Ministero dell’Interno - 10 giugno 2021 [9701975]

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[doc. web n. 9701975]

Ordinanza ingiunzione nei confronti di Ministero dell’Interno - 10 giugno 2021

Registro dei provvedimenti
n. 289 del 10 giugno 2021

IL GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI

NELLA riunione odierna, alla quale hanno preso parte il prof. Pasquale Stazione, presidente, la prof.ssa Ginevra Cerrina Feroni, vicepresidente, il dott. Agostino Ghiglia e l’avv. Guido Scorza, componenti, e il dott. Fabio Mattei, segretario generale;

VISTO il Regolamento (UE) n. 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati (Regolamento generale sulla protezione dei dati, di seguito, "Regolamento");

VISTO il Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101, recante il Codice in materia di protezione dei dati personali (di seguito “Codice”);

VISTO il Decreto legislativo 18 maggio 2018, n. 51, entrato in vigore l’8 giugno 2018, recante l’attuazione della Direttiva (UE) 2016/680 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 relativa alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali da parte delle autorità competenti a fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la decisione quadro 2008/977/GAI del Consiglio;

VISTO il Decreto del Presidente della Repubblica 15 gennaio 2018, n. 15 recante il “Regolamento a norma dell'articolo 57 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, recante l'individuazione delle modalità di attuazione dei principi del Codice in materia di protezione dei dati personali relativamente al trattamento dei dati effettuato, per le finalità di polizia, da organi, uffici e comandi di polizia”;

VISTO l’art. 49 del d.lgs. n. 51/2018 secondo cui “l’articolo 57 del Codice è abrogato decorso un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto. I decreti adottati in attuazione degli articoli 53 e 57 del Codice continuano ad applicarsi fino all’adozione di diversa disciplina ai sensi degli articoli 5, comma 2, e 9, comma 5” (commi 2 e 3 dell’art. 49 cit.);

VISTO il Regolamento del Garante n. 1/2019 concernente le procedure interne aventi rilevanza esterna, finalizzate allo svolgimento dei compiti e all’esercizio dei poteri demandati al Garante per la protezione dei dati personali, approvato con deliberazione del n. 98 del 4/4/2019, pubblicato in G.U. n. 106 dell’8/5/2019 e in www.gpdp.it, doc. web n. 9107633 (di seguito “Regolamento del Garante n. 1/2019”);

Vista la documentazione in atti;

Viste le osservazioni formulate dal segretario generale ai sensi dell’art. 15 del Regolamento del Garante n. 1/2000 sull’organizzazione e il funzionamento dell’ufficio del Garante per la protezione dei dati personali, doc. web n. 1098801;

Relatore il dott. Agostino Ghiglia;

PREMESSO

1. La vicenda.

In relazione alla nota vicenda accaduta a XX, relativa alle atroci violenze subite da un uomo, poi deceduto, in occasione della comunicazione alla stampa delle avvenute operazioni di arresto nei confronti di 8 giovani, sono stati pubblicati il XX sulle pagine Facebook della Questura di XX e della Polizia di Stato, nonché sull'account ufficiale di Twitter della Polizia di Stato, due video - contraddistinti dallo stemma della Polizia di Stato – originariamente filmati dagli aggressori.

In entrambi i video non sono visualizzabili i volti degli aggressori né della vittima, ma si può capire cosa sta accadendo e si possono ascoltare le loro voci, in uno dei due scanditamente, in particolare quella disperata della vittima che chiede soccorso, la cui identificabilità è fuori discussione nel contesto degli elementi disponibili in relazione alle diverse fonti che hanno informato sulla vicenda.

Uno di questi filmati è stato pubblicato, in particolare, sull’account ufficiale di Twitter della Polizia di Stato accompagnato dal seguente testo: “XX” e sulla pagina Facebook della Questura di XX accompagnato dal seguente testo: “XX”.

L’altro video, relativo alla medesima vicenda, è stato pubblicato sulla pagina Facebook della Polizia di Stato ed accompagnato dal seguente testo: “XX”.

Tali filmati sono stati successivamente divulgati da diverse testate on-line a carattere nazionale e sono tuttora reperibili su internet (in particolare, entrambi i filmati sono ancora visualizzabili su www.youtube.com alla voce “XX” ed uno dei due filmati su www.youtube.com alla voce “XX”).

2. L’attività istruttoria.

A seguito della divulgazione di tali video, il Garante ha avviato un’istruttoria nei confronti del Ministero dell’Interno (“Ministero”), al quale ha inviato una richiesta di informazioni, rivolta anche al Commissariato interessato ed alla Questura di XX, in ordine alle modalità e finalità della diffusione dei video in questione, agli atti con i quali è stata (eventualmente) assunta la decisione di diffondere tali video, nonché in ordine alle misure tecnico-organizzative adottate al fine di garantire il rispetto della disciplina in materia di protezione dei dati personali, con particolare riferimento a quanto sancito dal citato art. 14 del D.P.R. 15/2018 (nota prot. n. 14600 del 3 maggio 2019).

Il Ministero ha fornito riscontro, con nota del 13 maggio 2019, rappresentando, quanto alla descrizione delle circostanze di fatto ed alle modalità di diffusione delle immagini suddette, che: "i video in questione fanno riferimento, come noto, a una grave vicenda che ha avuto ampio risalto mediatico, per i ripetuti atti di aggressione, commessi con crudeltà e violenza nei confronti di una persona che viveva in uno stato di disagio sociale e di solitudine, ad opera di giovani ragazzi che filmavano le loro scellerate azioni e, attraverso l'utilizzo di social network, le diffondevano e condividevano da tempo anche con altre persone nel contesto territoriale di XX. La divulgazione dei filmati in argomento sui siti ufficiali della Polizia di Stato e della Questura di XX è stata effettuata a conclusione dell'attività investigativa, condotta da personale di quella Questura e del Commissariato di P.S. di XX, a seguito della quale è stata data esecuzione a un fermo di indiziato di delitto nei confronti di otto soggetti (di cui sei minori), ritenuti a vario titolo gravemente indiziati in concorso dei reati di minaccia, atti persecutori, tortura, danneggiamento, violazione di domicilio e sequestro di persona aggravati" (nota prot. n. 555-DOC/C/SPEC/SPORD/2486/19 del 13 maggio 2019).

Quanto alle modalità della diffusione dei video, il Ministero ha rappresentato che la comunicazione istituzionale a livello nazionale della vicenda in esame è stata curata dall'Ufficio Relazione Esterne e Cerimoniale della Segreteria del Dipartimento della Pubblica Sicurezza. Nel dettaglio, ha riscontrato che "alle ore 7.01 del 30 aprile u.s., venivano divulgati un lancio stampa e il video che sarebbe stato poi pubblicato, alle 7.22, sull'account twitter della Polizia di Stato; lo stesso video veniva pubblicato, alle ore 9.11, sulla pagina Facebook istituzionale; nel corso della stessa giornata sono stati, altresì, divulgati alle agenzie di stampa altri tre video, uno dei quali pubblicato alle 11.10 sempre sull'account twitter della Polizia di Stato. Tale materiale video è stato diffuso da tutti i principali network e media nazionali. La Questura di XX ha poi diffuso uno dei video sulla propria pagina Facebook, alle ore 15.56 nella medesima giornata del 30 aprile" (cfr. nota del 13 maggio cit.). Il Ministero ha evidenziato, altresì, che "la diffusione di tali video è stata preventivamente autorizzata dalle Autorità Giudiziarie procedenti, che hanno ritenuto prevalenti, dopo attenta valutazione, le esigenze legate alla prevenzione e deterrenza di analoghi episodi delittuosi” (cfr. nota del 13 maggio cit.).

In merito alle motivazioni e finalità della comunicazione e divulgazione dei video in esame, il Ministero, nel riscontro suddetto, ha precisato che "a seguito di approfondita riflessione, l'interesse a diffondere attraverso i canali istituzionali una piena conoscenza sulla gravità dei fatti è stato valutato come prioritario, al fine di far maturare la consapevolezza di come tali derive sociali possano sfociare in gesti atroci. In particolare, alla base della decisione di rendere pubbliche le immagini e gli audio dei crimini commessi vi è stata la considerazione della loro utilità al fine di evitare il ripetersi di reati analoghi. In effetti, uno degli aspetti che maggiormente preoccupa le forze di Polizia non è il singolo episodio criminale, per quanto grave possa essere come nel caso in esame, ma il fatto che - come avvenuto a XX, dove già circolavano da tempo i video delle aggressioni - esso si sviluppi in un contesto dove l'intera società civile si dimostri non consapevole della gravità di certi comportamenti, ignorandoli, sottovalutandoli o, addirittura, giustificandoli in qualche modo. La diffusione del video ha avuto, quindi, lo scopo di mostrare come "tacere certi comportamenti" possa rendere corresponsabili (…). Si è pertanto ritenuto opportuno agire nelle modalità indicate affinché tali silenzi non siano giustificabili, nonché evitare che in futuro si ripetano altre analoghe situazioni in cui "tutti sanno", ma nessuno interviene per chiedere aiuto a tutela e protezione delle persone più fragili” (cfr. nota del 13 maggio cit.). In conclusione, si è rappresentato che “la divulgazione da parte di quest'Amministrazione dei video sulle aggressioni, che ha visto la necessaria e doverosa autorizzazione dell’Autorità giudiziaria competente, ha avuto le seguenti due finalità: • da una parte, creare - attraverso la crudezza delle immagini e senza alcun ulteriore commento - riprovazione; • dall'altra, inoltre, in un'ottica di prevenzione generale, che è una delle missioni principali dell'attività svolta dalle Forze di Polizia, suscitare indignazione, attenzione e quella giusta reazione volta a rompere qualsiasi futura ipotetica situazione di silenzio, affinché si realizzino le condizioni per favorire una corretta, puntuale e tempestiva veicolazione delle informazioni a tutti gli organismi ed enti deputati a intervenire (in particolare, Forze dell'Ordine, servizi sanitari, servizi sociali, ecc.)” (cfr. nota del 13 maggio 2019 cit.).

In merito alle misure organizzative adottate ai fini dell'adeguamento alle nuove disposizioni in materia di trattamento dei dati personali, si è rappresentato che - oltre agli interventi già delineati con la nota del 3 maggio 2019 (nota prot. prot. n. 555-DOC/C/SPEC/SPORD/2180/19), riferibile ad altro procedimento riguardante il Ministero, conclusosi con il provvedimento n. 236 del 26 novembre 2020, in www.gpdp.it, doc. web n. 9522206 – “sono state avviate le procedure per istituire, in ambito dipartimentale, un responsabile della protezione dei dati, che si occupi in particolare di tutti i trattamenti effettuati per finalità di polizia” (cfr. nota del 13 maggio 2019 cit.). La citata nota del 3 maggio 2019 richiamava: le linee guida del 2005 del Dipartimento della Pubblica sicurezza per la compilazione del Documento programmatico sulla sicurezza (d’ora in avanti “DPS”) ed il DPS della Questura di Roma del 28 gennaio 2006; la circolare 26 giugno/6 luglio 2018 del Capo della Polizia, Direttore Generale della Pubblica Sicurezza, illustrativa del nuovo quadro normativo nazionale in materia di protezione dei dati personali, con particolare riferimento al Regolamento e al D.lgs. n. 51/2018; la circolare 21-24 dicembre 2018 del Capo della Polizia avente ad oggetto l’aggiornamento professionale del personale della Polizia di Stato per l’anno 2019, da cui si evince che per l’anno in corso è prevista n. 1 giornata di approfondimento indirizzata a tutto il personale sulla tematica di interesse generale denominata: “anticorruzione e nuova disciplina in materia di protezione dei dati personali”; la circolare del 5 aprile 2019 del Direttore dell’Ufficio per l’Amministrazione generale del  Ministero relativa al D.P.R. n. 15/2018, con specifico riferimento all’adempimento di cui all’art. 30, comma 3, del D.P.R. cit. (cfr. nota del 3 maggio cit.).

Si evidenzia che, nel corso dell’istruttoria relativa alla suddetta vicenda richiamata dal Ministero nella nota del 13 maggio 2019, l’Ufficio è stato informato dell’istituzione, con decreto del Capo della Polizia del 23 luglio 2019, della “Struttura di missione per l’individuazione e la realizzazione delle misure tecnico-organizzative in materia di trattamento dei dati personali”.

In seguito al suddetto riscontro del 13 maggio 2019, l’Ufficio ha constatato e verificato che i video in questione erano ancora visualizzabili sulle pagine Facebook istituzionali della Polizia di Stato e della Questura di XX, nonchè sul profilo Twitter istituzionale della Polizia di Stato, come risulta dal relativo verbale di operazioni compiute (nota prot. n. 16614 del 17 maggio 2019).

L’Ufficio ha successivamente inviato una richiesta di informazioni, concernente il trattamento in esame, anche al responsabile della protezione dei dati del Ministero (nota prot. n. 16809 del 20 maggio 2019), che ha fornito riscontro, richiamando integralmente gli elementi di valutazione forniti dal Ministero (nota prot. n. 17484 del 24 maggio 2019).

Con comunicazione pec del 20 maggio 2019 è pervenuto anche il riscontro della Questura di XX, che ha rappresentato che “la divulgazione sui social network dei video relativi alla vicenda dell’aggressione patita dal XX di XX da parte degli 8 soggetti arrestati è stata preventivamente autorizzata dalle AA.GG. procedenti, che hanno ritenuto, dopo attenta valutazione, prevalenti le esigenze legate alla prevenzione e deterrenza di analoghi episodi delittuosi” (nota prot. n. 18953 del 7 maggio 2019). Il Garante ha chiesto, pertanto, alla Questura suddetta, “nell’ambito dell’istruttoria in corso presso questa Autorità ed in considerazione della finalità di prevenzione dei reati, propria delle attività di polizia di sicurezza”, di trasmettere gli atti relativi alla riferita autorizzazione (nota prot. n. 17489 del 24 maggio 2019). Con successivo riscontro, la Questura ha riferito che: “l'autorizzazione alla divulgazione agli organi di stampa dei video relativi ai fatti accaduti a XX ed ai procedimenti penali in corso a seguito del decesso di un uomo avvenuto il 23 aprile 2019, è stata rilasciata al Dirigente della Squadra Mobile «verbalmente» dal sig. Procuratore della Repubblica di XX, previa visione ed adozione di ogni accorgimento utile a rendere non riconoscibili le persone in essi ritratte, ossia attraverso l'applicazione di filtri sui volti e sulle parti audio. Acquisito il nulla-osta dall'A.G., il Dirigente ha provveduto a darne comunicazione all'Ufficio Stampa della Questura per il successivo inoltro all'Ufficio Relazioni Esterne e Cerimoniale del Dipartimento della P.S., che ha fornito il materiale poi oggetto di divulgazione applicando i filtri richiesti dall'A.G. Peraltro, giova osservare che i contenuti di che trattasi - prima ancora di essere acquisiti agli atti del procedimento penale - erano stati condivisi su diverse chat, i cui partecipanti (ulteriori rispetto agli stessi indagati) hanno avuto modo e tempo di provocarne la divulgazione "in chiaro". Allo stesso modo, è emerso che anche altri video, di eguale natura ed afferenti i medesimi fatti (purtuttavia ad oggi non acquisiti al procedimento) sono già stati condivisi e diffusi pubblicamente. La diffusione dei video (con l'adozione degli opportuni accorgimenti) ha spinto alcuni soggetti non ripresi, eppure presenti agli episodi narrati, a riferire ulteriori circostanze ed a fornire elementi utili per la ricostruzione dei fatti e per l'individuazione di altri rei rispetto ai quali hanno deciso di prendere le distanze. Questo ultimo dato corrisponde alle esigenze di prevenzione e deterrenza che hanno motivato la divulgazione dei contenuti video” (nota prot. n. 22184 del 29 maggio 2019).

Con nota prot. n. 555-DOC/C/SPEC/SPORD/2842/19 del 30 maggio 2019, il Ministero comunicava di aver provveduto il 21 maggio 2019, “accogliendo il suggerimento fornito da codesta Autorità”, a rimuovere - dalla pagina Twitter e da quella Facebook della Polizia di Stato - i video relativi alle aggressioni avvenute lo scorso mese di aprile a XX ai danni dell’uomo e che anche la Questura di XX, nello stesso giorno, ha provveduto a rimuovere il video pubblicato sulla propria pagina Facebook.

In data 26 giugno 2019, nel corso della conferenza stampa seguita ad ulteriori misure cautelari afferenti alla vicenda giudiziaria in esame e ad altro episodio accaduto a danno di un altro uomo (v. https://www.facebook.com/.../, nonché www.youtube.com - “XX”), appariva un ulteriore video, contraddistinto dallo stemma della Polizia di Stato e successivamente divulgato su diversi siti internet, anch’esso relativo alla vicenda in esame, essendo riferito a due eventi particolarmente efferati, che nel video vengono denominati: “XX” e “XX”, sempre a danno della medesima vittima.

In particolare, come accertato dall’Ufficio l’8 luglio 2019, il video suddetto è stato divulgato su www.youtube.com ed intitolato «XX» (https://www.youtube.com/...), ma ad oggi appare rimosso “per aver violato i termini di servizio di YouTube”, nonché su https://..., anch’esso successivamente rimosso.
Ciò nonostante, il video suddetto resta reperibile su internet al link: https://www.dire.it/..., nonché al link https://www.agi.it/....

Con nota prot. n. 25492 del 23 luglio 2019, l’Ufficio, sulla base degli elementi acquisiti in corso di istruttoria e delle valutazioni effettuate su tali elementi, ha notificato al Ministero, in qualità di titolare del trattamento, ai sensi degli artt.  42, comma 4, del d.lgs. n. 51/2018, 166, comma 5, del Codice e 12 del Reg. del Garante n. 1/2019, l’avvio del procedimento per l’adozione dei provvedimenti di cui agli artt. 37, comma 3, e 42 del d.lgs. n. 51/2018, invitando il predetto titolare a produrre al Garante scritti difensivi o documenti ovvero a chiedere di essere sentito dall’Autorità (art. 166, commi 6 e 7, del Codice; art. 18, comma 1, dalla legge n. 689 del 24/11/1981; art. 13, comma 3, Reg. del Garante n. 1/2019).

In particolare, l’Ufficio ha rilevato che il Ministero, per mezzo della divulgazione suddetta, ha posto in essere un trattamento dei dati personali dell’interessato, in violazione degli artt. 3 e 5 del D.lgs. n. 51/2018, in quanto eccedente rispetto alle finalità del medesimo trattamento e non necessario per l’esecuzione di uno dei compiti di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 51/2018. Si è rappresentato, altresì, che la violazione dell’art. 3 del D.lgs. n. 51/2018 rende applicabile la sanzione amministrativa prevista dall’art. 42 del D.lgs. n. 51/2018, alla luce degli elementi di cui all’art. 83, comma 2, del Regolamento.

Il Ministero ha fatto pervenire le proprie memorie difensive, con nota prot. n. 555-DOC/C/SPEC/SPORD/4541/19 del 6 settembre 2019, a mezzo delle quali ha ribadito, in aggiunta a quanto già riportato in precedenza sulla vicenda in questione, che la “diffusione” dei filmati in parola è riconducibile alle finalità di polizia correlate con i compiti istituzionali svolti dalla Polizia di Stato, con particolare riferimento ai compiti di “prevenzione dei reati”. In particolare, per mezzo delle memorie suddette, si è evidenziato che “la funzione di “prevenzione generale” che caratterizza la sanzione penale postula che la stessa sia oggetto di adeguata “informazione” nei riguardi della collettività e il “veicolo” di tale “informazione”, in prima battuta, non può che essere di pertinenza degli organi di polizia giudiziaria e di giustizia penale (nel rispetto degli obblighi di segretezza che presidiano il processo). (…) I filmati … sono stati diffusi conformemente ai compiti istituzionali della Polizia di Stato, in un'ottica di prevenzione generale, essenzialmente in chiave "positiva", al fine di far maturare tra i consociati la consapevolezza dell'estrema gravità degli atti di aggressione, perpetrati con crudeltà e violenza nei confronti di un soggetto in condizione di estrema vulnerabilità. Condotte persecutorie reiterate nel tempo, commesse da gruppi di giovani prevalentemente in luoghi pubblici, diffusamente filmate e, quindi, condivise e propagate mediante i social media nell'ambito della comunità di XX. Tutto ciò rendendo anche evidente l'esistenza di un ambiente sociale ove quanto accadeva era ignorato, a volte sottovalutato, a volte anche giustificato. La decisione - condivisa anche dalla Procura della Repubblica di XX - di rendere pubblici i filmati delle violenze, con gli accennati "filtri" sui volti e sulle parti audio, è scaturita dalla valutazione che la "piena e diretta" conoscenza dci fatti avrebbe provocato un immediato moto di repulsione nella collettività, in particolare nei luoghi ove era maturata tanta crudeltà, innescando un forte sentimento di "disapprovazione", imprescindibile per prevenire il ripetersi di simili accadimenti e anche per favorire un clima di fiducia e collaborazione con le istituzioni (forze di polizia, servizi sanitari, servizi sociali, ccc.). Come sopra illustrato, gli effetti positivi si sono immediatamente manifestati con la ferma dissociazione da quanto accaduto da parte di molte persone della comunità di XX e, soprattutto, con la decisione di queste di collaborare con la polizia giudiziaria, fornendo utili informazioni per completare l'attività d'indagine e individuare gli altri autori dei reati” (nota del 6 settembre 2019 cit.).

Sotto il profilo della censura del Garante riguardante la violazione dell’art. 5 d.lgs. n. 51/2018 (liceità del trattamento), il Ministero ha rappresentato, quindi, che “la pubblicazione dei filmati, con le modalità sopra illustrate, risponda alle funzioni istituzionali di una forza di polizia, poiché contribuisce significativamente a dare effettività alla funzione generalpreventiva della sanzione penale, sia sotto il profilo "dissuasivo", sia, soprattutto, sotto quello "positivo", di "orientamento culturale" dei comportamenti dci consociati. Il trattamento dei dati personali in parola, pertanto, si valuta sia stato effettuato in esecuzione di un compito istituzionale affidato dalla legge all'Autorità di polizia e, quindi, nel rispetto del "principio di liceità" di cui all'art. 5 del d.lgs. n. 51 del 2018” (nota del 6 settembre 2019 cit.).

Sotto il profilo della censura del Garante riguardante la violazione dell’art. 3 d.lgs. n. 51/2018 (non eccedenza rispetto alle finalità del trattamento), il Ministero ha rappresentato che “invero, è proprio l'esigenza di dare effettività alla funzione generalpreventiva "positiva" della pena che rende necessaria la pubblicazione di filmati che riportino la "piena e diretta" conoscenza di accadimenti di rilevanza penale (pur nel loro crudo svolgimento concreto), coerentemente con l'intento di scuotere le coscienze e attivare nella collettività sentimenti di forte "disapprovazione", che soli possono contrastare efficacemente la commissione in futuro di efferate condotte criminali. Per quanto concerne, infine, il contenuto audio dei filmati - che, seppur "filtrato", ha dato la precisa percezione dello strazio patito dalla vittima - si ritiene che sia dosato ragionevolmente e con equilibrio il sacrificio dci diritti personali della vittima, compressi dall'interesse pubblico preminente alla prevenzione e repressione dci reati, anche al fine di scuotere le coscienze con la straziante richiesta di aiuto, affinché il male non goda del comportamento indifferente degli altri.” (nota del 6 settembre 2019 cit.).

Per i motivi suesposti, il Ministero ha chiesto al Garante di valutare la condotta dell'Amministrazione rispettosa dei principi che presidiano il trattamento dci dati personali e, per l'effetto, di archiviare il procedimento sanzionatorio.

Con successiva nota prot. n.555/DOC/C/SPEC/SPORD/4900/119 del 27 settembre 2019, il Ministero ha trasmesso all’Ufficio una nota della Procura della repubblica presso il Tribunale di XX, per il tramite della Questura di XX, nella quale la suddetta Procura “conferma che ha a suo tempo verbalmente autorizzato la divulgazione dei video relativi ai noti fatti di XX in danno del sig. (…), previa adozione degli accorgimenti tecnici (oscuramento o comunque apposizione di filtri sui volti e alterazione delle parti audio), necessari per non rendere riconoscibili i soggetti ripresi, conformemente a quanto previsto dalle disposizioni di legge in materia”.

3. Esito dell’attività istruttoria.

3.1. Natura e finalità del trattamento in esame.

Esaminati i video in esame, anche nel contesto in cui sono stati divulgati, e preso atto di quanto rappresentato dal Ministero, risulta accertato che la divulgazione degli stessi è riconducibile alle finalità di polizia, correlate con i compiti istituzionali svolti dalla Polizia di Stato, con particolare riferimento alla “prevenzione dei reati” (cfr. note del 13 maggio 2019 e del 6 settembre 2019 cit.). In particolare, tali video sono stati diffusi dal Ministero, al fine di “suscitare indignazione, attenzione e quella giusta reazione volta a rompere qualsiasi futura ipotetica situazione di silenzio, affinché si realizzino le condizioni per favorire una corretta, puntuale e tempestiva veicolazione delle informazioni a tutti gli organismi ed enti deputati a intervenire” (cfr. nota del 13 maggio 2019 cit.).

Il trattamento in esame è riconducibile, pertanto, ai compiti istituzionali della Polizia di Stato, che provvede tra l’altro alla “prevenzione dei reati”, ed è avvenuto nell’esercizio di attività di polizia di sicurezza per il tramite dell'Ufficio Relazione Esterne e Cerimoniale della Segreteria del Dipartimento della Pubblica Sicurezza (cfr. artt. 3 e 24 legge n. 121/1981), come evidenziato dall’Ufficio già con nota del 24 maggio 2019 indirizzata alla Questura di XX. Conseguentemente, il trattamento in esame non è riconducibile alle funzioni di polizia giudiziaria, tra le quali non vi è quella della prevenzione dei reati; funzioni che sono svolte alla dipendenza e sotto la direzione dell'autorità giudiziaria (cfr. art. 17 l. n. 121/1981), in conformità a quanto stabilito dal codice di procedura penale (cfr. art. 55 c.p.p.).

Ciò considerato, ai fini della valutazione della liceità del trattamento in esame, non rileva la circostanza che la Procura della Repubblica di XX abbia autorizzato verbalmente il Ministero alla divulgazione agli organi di stampa dei video in questione (cfr. note del 13 e 29 maggio cit. e del 6 e 27 settembre cit.), potendo tale autorizzazione rilevare solo al fine di escludere che la divulgazione di tali immagini potesse avvenire in violazione di legge o incidere negativamente sui procedimenti penali in corso (cfr. artt. 114 e 329 c.p.p.). Peraltro, la circostanza che in seguito a tale divulgazione molte persone della comunità di XX abbiano deciso di collaborare con la polizia giudiziaria, fornendo utili informazioni per completare l’attività d’indagine e individuare gli altri autori dei reati (nota del 29 maggio 2019 e del 6 settembre 2019 cit.) non incide sulla natura e le finalità della divulgazione in esame che, come ribadito più volte dal Ministero, è stata motivata principalmente da esigenze di prevenzione e deterrenza.

Ciò considerato, se anche il trattamento in esame fosse stato effettuato a fini di indagine, la riferita autorizzazione della Procura non esonerava comunque il Ministero da un’accurata valutazione sulla sua conformità ai principi in materia di protezione dei dati personali.

In particolare, la disciplina in materia di protezione dei dati personali, che regola il trattamento dei dati personali da parte delle autorità competenti “a fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali” (art. 1, comma 2, d.lgs. n. 51/2018), sancisce che i dati personali sono: trattati in modo lecito e corretto; raccolti per finalità determinate, espresse  e  legittime  e trattati in modo compatibile con tali finalità; adeguati, pertinenti e non eccedenti rispetto  alle  finalità per le quali sono trattati (art. 3, comma 1, lett. a), b) e c) del d.lgs. n. 51/2018).

Il trattamento è lecito “se è necessario per l'esecuzione di un compito di un'autorità competente per le   finalità   di   cui al suddetto articolo 1, comma 2, e si basa sul diritto dell'Unione europea o su disposizioni di legge o, nei casi previsti dalla legge, di regolamento che individuano i dati personali e le finalità del trattamento” (art. 5, comma 1, d.lgs. n. 51/2018).

Nell’ambito di tali trattamenti, la diffusione di dati personali è consentita quando è necessaria per le finalità di polizia, fermo restando l'obbligo del segreto di cui all'articolo 329 del codice di procedura penale e fatti salvi i divieti previsti da altre disposizioni di legge o di regolamento; essa è comunque effettuata nel rispetto della dignità della persona (art. 14, comma 1, del D.P.R. n. 15/2018).

Più in particolare, la diffusione che riguarda immagini personali è consentita quando la persona interessata ha espresso il proprio consenso o è necessaria per la salvaguardia della vita o dell'incolumità fisica o è giustificata da necessità di giustizia o di polizia; essa è comunque effettuata con modalità tali da non recare pregiudizio alla dignità della persona (art. 14, comma 2, del D.P.R. n. 15/2018). Il Garante è informato delle direttive generali adottate in ambito nazionale sulla diffusione dei dati o delle immagini personali, ai sensi dell’art. 14, comma 3, del D.P.R. n. 15/2018.

Con riguardo, infine, agli obblighi in capo al titolare, responsabile del rispetto dei principi di cui all’art. 3, co. 1, d.lgs. n. 51/2018 (art. 3, co. 4, cit.) ai sensi dell’art. 15 del d.lgs. n. 51/2018, lo stesso, tenuto conto della natura, dell'ambito di applicazione, del contesto e delle finalità del trattamento, nonché dei rischi per i diritti e le libertà delle persone fisiche, “mette in atto misure tecniche e organizzative adeguate per garantire che il trattamento sia effettuato in conformità alle norme del presente decreto”; misure che “sono riesaminate e aggiornate qualora necessario e, ove proporzionato rispetto all'attività di trattamento, includono l'attuazione di politiche adeguate in materia di protezione dei dati da parte del titolare del trattamento.”.

3.2. Il trattamento dei dati dell’interessato.

Risulta accertato, ancora, che i video in esame hanno ad oggetto alcuni episodi di violenza a danno dell’uomo, poi deceduto, e che negli stessi si sentono anche i lamenti strazianti e le richieste di aiuto dell’uomo.

In particolare, come si è visto, nel primo video in esame, pubblicato sul profilo Facebook della Polizia di Stato, contraddistinto dallo stemma della Polizia di Stato, si sente scanditamente la voce della vittima, mentre prova a difendersi e chiede soccorso e non risulta esser stato applicato alcun filtro sulle parti audio dello stesso (cfr verbale di operazioni compiute del 17 maggio cit. e prima parte del video reperibile tuttora su www.youtube.it alla voce “XX”), nonostante quanto rappresentato dal Ministero e richiesto dalla Procura.

Nel secondo video, pubblicato sull'account ufficiale di Twitter della Polizia di Stato, nonché sul profilo Facebook della Questura di XX, anche se non si sentono scanditamente le voci degli aggressori e della vittima, da quello che si può vedere (persone che brandiscono randelli) e sentendo le urla strazianti della vittima, associate a dei rumori forti, si percepisce chiaramente la crudeltà di quanto sta accadendo.

Nel contesto delle diverse notizie riportate sulla vicenda giudiziaria e sulla vittima, in particolare che l’interessato aveva disturbi di natura psichica, i video in questione documentano, quindi, anche se in alcuni casi con alcuni accorgimenti che filtrano in parte le immagini video e le parti audio, le atroci sevizie subite dalla vittima.

Seppur la finalità sottesa al trattamento in esame, quella di prevenzione dei reati (come dichiarato dal Ministero), deve ritenersi legittima, il trattamento in esame deve essere valutato nel suo complesso, sulla base delle circostanze concrete ed alla luce dei principi che regolano la materia di protezione dei dati personali, in particolare quello di “liceità” e di “non eccedenza”. Più in generale, la diffusione di dati personali di una persona coinvolta da una vicenda giudiziaria integra una violazione della Convezione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), se non avviene nel rispetto delle condizioni di cui all’art. 8 CEDU per cui “1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza. 2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui”, dovendosi esaminare se tale ingerenza sia prevista dalla legge, persegua uno scopo legittimo e sia proporzionata allo scopo perseguito v. Corte EDU Toma c. Romania, n. 42716/02, 24 febbraio 2009, § 92; Khoujine e altri c. Russia, n. 13470/02, 23 ottobre 2008, § 117; Gurgenidze c. Georgia, n. 71678/01, 17 ottobre 2006, § 57; Sciacca c. Italia, n. 50774/99, 11 gennaio 2005, § 28/29).

Nella fattispecie, nella valutazione del trattamento in esame non può non tener conto della particolare natura dei dati di cui si tratta e delle modalità con cui è avvenuto il trattamento.

I dati contenuti nei video in questione riguardano, in particolare, un soggetto su cui erano circolate diverse informazioni, per mezzo della stampa e delle autorità competenti. In particolare, erano stati divulgati oltre i dati identificativi dello stesso (nome, cognome, immagine del volto in primo piano, dove viveva, che fosse un XX etc.), anche la notizia che fosse affetto da disturbi psichici. Inoltre, era stata resa pubblica la circostanza che le sevizie subite dall’uomo (alcune delle quali sono state documentate nei video in questione e nel successivo video divulgato il 26 giugno 2019) avevano causato uno stato di degrado psico-fisico dello stesso, che ne ha portato al decesso. I video in questione, pertanto, sono relativi a categorie particolari di dati, il cui trattamento può avvenire solo se strettamente necessario ed assistito da garanzie adeguate per i diritti e le libertà dell’interessato e specificamente previsto dal diritto dell'Unione europea o da legge (cfr. art. 7 d.lgs. n. 51/2018); circostanze queste che non ricorrono nel caso in esame.

Al riguardo, la divulgazione in questione risulta essere avvenuta in violazione dell’art. 14 del D.P.R. n. 15/2018, secondo cui “La diffusione di dati personali è consentita quando è necessaria per le finalità di polizia di cui all'articolo 3, fermo restando l'obbligo del segreto di cui all'articolo 329 del codice di procedura penale e fatti salvi i divieti previsti da altre disposizioni di legge o di regolamento; essa è comunque effettuata nel rispetto della dignità della persona. 2. La diffusione di immagini personali è consentita quando la persona interessata ha espresso il proprio consenso o è necessaria per la salvaguardia della vita o dell'incolumità fisica o è giustificata da necessità di giustizia o di polizia; essa è comunque effettuata con modalità tali da non recare pregiudizio alla dignità della persona. 3. Il Garante è informato delle direttive generali adottate in ambito nazionale sulla diffusione dei dati o delle immagini personali.”.

Ciò in quanto la divulgazione in questione non solo non è risultata “necessaria” per la finalità di prevenzione dei reati, ma è avvenuta in pregiudizio della dignità dell’interessato, la cui tutela deve essere garantita anche dopo il decesso (v. Provv. Garante 15 luglio 2006, in www.gpdp.it, doc. web n. 1310796; Provv. Garante 19 dicembre 2002, in www.gpdp.it, doc. web. n. 1067167; Comunicato stampa 8 marzo 1999, in www.gpdp.it doc. web n. 48472).

In tal senso, anche se nei video in questione non compaia il volto dell’interessato, il trattamento in esame è consistito comunque nella divulgazione di immagini e fotogrammi riferiti allo stesso ed alla triste vicenda che lo ha visto protagonista e, pertanto, deve tenersi conto della particolare potenzialità lesiva della dignità della persona connessa all’enfatizzazione tipica dello strumento visivo e la maggiore idoneità di esso ad una diffusione decontestualizzata e insuscettibile di controllo da parte dell’interessato (v. Cass. civ., sez. III, 6 giugno 2014, n. 12834, il cui principio di diritto è stato confermato con Cass. civ., sez. III, 13 maggio 2020 n. 8878, che invita ad agire, nell’esercizio dell’attività giornalistica, oltre che nel rispetto del principio di essenzialità dell’informazione, anche nella tutela della dignità delle persone coinvolte).

Nessun controllo ad opera delle persone legittimate ai sensi dell’art. 2-terdecies del Codice sull’effettiva diffusione dei video, infatti, sarebbe di fatto possibile, tenuto conto delle migliaia di visualizzazioni dei video in questione che possono aver dato luogo a successive condivisioni in qualunque contesto e per le finalità più disparate.

La divulgazione dei video in questione direttamente sui canali social del Ministero li ha resi immediatamente accessibili a chiunque (ben oltre, quindi, la realtà locale in cui i fatti sono avvenuti, dove nel corso delle indagini si era registrata una mancanza di collaborazione da parte dei cittadini) e ha dato luogo ad una velocissima propagazione degli stessi su diversi siti internet e sulla piattaforma web YouTube (si pensi, ancora, che il video caricato sull’account Twitter della Polizia di Stato, al 17 maggio 2019, contava già 49.300 visualizzazioni). Tali video sono stati accompagnati, peraltro, da diversi commenti violenti e di odio, come è emerso in sede di operazioni compiute del 17 maggio 2019, ciò che appare peraltro contrastare con le finalità addotte dal Ministero di “dare effettività alla funzione generalpreventiva della sanzione penale, sia sotto il profilo "dissuasivo", sia, soprattutto, sotto quello "positivo", di "orientamento culturale" dei comportamenti dei consociati”. Tra i commenti in tal senso vi è “Lo stesso trattamento ai loro genitori o nonni e farli guardare occhio per occhio dente per dente tanto non se ne fanno galere ste bestie riescono e ritornano a fare quello che facevano”.

Inoltre, il 26 giugno 2019, in occasione di una conferenza stampa relativa alla vicenda giudiziaria in corso, è stato divulgato un altro video che documenta altri due episodi di violenza subiti dalla medesima vittima. In particolare, la circostanza che siano state sovraimpresse ad alcune immagini-video i testi di alcuni messaggi degli aggressori, che descrivono nel dettaglio le violenze subite dalla vittima, nonché le sue reazioni ed esternazioni a seguito delle aggressioni medesime, ha consentito di conoscere ulteriori particolari e dettagli delle violenze subite. Pur in costanza di alcuni accorgimenti (quali, ad esempio, la modifica delle voci ed il filtro sulle parti video), la circostanza che si tratti di immagini e messaggi reali ha reso conoscibili, sempre con crudezza, le sevizie cui è stato sottoposto l’uomo.

Ciò considerato, la divulgazione del XX dei video in esame da parte del Ministero risulta essere avvenuta in violazione degli artt. 3 e 5 del D.lgs. n. 51/2018, in quanto trattamento non “necessario per l'esecuzione di un compito di un'autorità competente per le   finalità   di   cui all'articolo 1, comma 2” del D.lgs. n. 51/2018 (v. art. 5 d.lgs. cit.).

4. Conclusioni.

Alla luce delle valutazioni sopra richiamate e tenuto conto delle dichiarazioni rese dal titolare del trattamento nel corso dell’istruttoria (rispetto alle quali, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, chiunque, in un procedimento dinanzi al Garante, dichiara o attesta falsamente notizie o circostanze o produce atti o documenti falsi ne risponde ai sensi dell'art. 168 del Codice “Falsità nelle dichiarazioni al Garante e interruzione dell’esecuzione dei compiti o dell’esercizio dei poteri del Garante”), gli elementi forniti dal titolare del trattamento nelle memorie difensive suddette non consentono di superare i rilievi notificati dall’Ufficio con l’atto di avvio del procedimento, non ricorrendo, peraltro, alcuno dei casi previsti dall’art. 11 del Regolamento del Garante n. 1/2019.

In altri termini, i video in esame sono stati diffusi dal Ministero in violazione della disciplina in materia di protezione dei dati personali ed in modo gravemente lesivo della dignità della persona interessata per l’atrocità degli atti documentati e lo stato di assoluta soggezione della vittima. Al cospetto appaiono di assai minore consistenza le ipotesi nelle quali la giurisprudenza ha ravvisato l’illegittimità della diffusione dei dati ed, in particolare, quelle considerate dalla giurisprudenza della Corte EDU sopra richiamata.

Per tali ragioni, il trattamento di dati personali effettuato dal Ministero dell’Interno mediante la divulgazione in questione risulta illecito, in violazione degli artt. 3, co. 1, lett. a) e c) e 5 del d.lgs. n. 51/2018 e 14 del D.P.R. n. 15/2018.

La violazione della disposizione di cui all'articolo 3, comma 1, lettera a) è punita, ai sensi dell’art. 42, comma 1, del d.lgs. n. 51/2018, con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 50.000 euro a 150.000 euro.

Il medesimo articolo stabilisce al terzo comma che nella determinazione della sanzione amministrativa da applicare si tiene conto dei criteri di cui all'articolo 83, paragrafo 2, lettere a), b), c), d), e), f), g), h), i), k), del Regolamento.

Sulla base di tali criteri, deve tenersi conto della particolare natura dei dati in parola (in relazione alle condizioni di salute dell’interessato ed alla circostanza che i video documentano le atroci violenze subite dallo stesso, successivamente deceduto, di cui si sente chiaramente la voce in uno dei due video) e dell’entità del pregiudizio per l’interessato derivante dalla loro messa a disposizione di una platea indeterminata di soggetti (anche in considerazione del fatto che sono tuttora reperibili in rete). Deve tenersi conto, altresì, che, pur essendosi il Ministero attivato – in corso di procedimento dinanzi al Garante - per la rimozione dei video in questione e pur avendo dato ogni disponibilità all’approfondimento dell’istruttoria, si è poco dopo assistito ad un’ulteriore divulgazione di un altro video relativo alla vicenda in questione, reso pubblico in occasione della conferenza stampa del 26 giugno 2019 (rispetto al quale il Ministero non ha fornito alcuna informazione in sede di memorie difensive).

In ragione dei suddetti elementi, valutati nel loro complesso, si ritiene di determinare l’ammontare della sanzione pecuniaria prevista dall’art. 42, comma 1, del d.lgs. n. 51/2018, nella misura di euro 75.000 (settantacinquemila) per la violazione dell’art. 3, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 51/2018 quale sanzione amministrativa pecuniaria ritenuta, ai sensi dell’art. 83, par. 1, del Regolamento, effettiva, proporzionata e dissuasiva.

Si ritiene, inoltre, che ricorrano i presupposti di cui all’art. 17 del Regolamento n. 1/2019 concernente le procedure interne aventi rilevanza esterna, finalizzate allo svolgimento dei compiti e all’esercizio dei poteri demandati al Garante.

TUTTO CIÒ PREMESSO IL GARANTE

dichiara l’illiceità del trattamento dei dati dell’interessato per violazione dell’art. 3, co. 1, lett. a) del d.lgs. n. 51/2018, nonché degli artt. 3, co. 1, lett. c), 5 del d.lgs. n. 51/2018 e 14 del D.P.R. n. 15/2018, nei termini di cui in motivazione e, conseguentemente,

ORDINA

al Ministero dell’Interno, titolare del trattamento, di pagare la somma di euro 75.000,00 (settantacinquemila) a titolo di sanzione amministrativa pecuniaria per la violazione dell’art. 3, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 51/2018, rappresentando che il contravventore, ai sensi dell'art. 166, comma 8, del Codice, ha facoltà di definire la controversia mediante il pagamento, entro il termine di trenta giorni, di un importo pari alla metà della sanzione irrogata;

INGIUNGE

al predetto titolare, in caso di mancata definizione della controversia ai sensi del citato art. 166, comma 8, del Codice, di pagare la somma di euro 75.000,00 (settantacinquemila), secondo le modalità indicate in allegato, entro 30 giorni dalla notificazione del presente provvedimento, pena l’adozione dei conseguenti atti esecutivi a norma dall’art. 27 della legge n. 689/1981;

DISPONE

ai sensi dell’art. 166, comma 7, del Codice, la pubblicazione per intero del presente provvedimento sul sito web del Garante e ritiene che ricorrano i presupposti di cui all’art. 17 del Regolamento n. 1/2019 concernente le procedure interne aventi rilevanza esterna, finalizzate allo svolgimento dei compiti e all’esercizio dei poteri demandati al Garante.

Ai sensi dell’art. 39, comma 3 del d.lgs. n. 51/2018 e 10 del d. lgs. 1° settembre 2011, n. 150, avverso il presente provvedimento può essere proposta opposizione, in via alternativa, al tribunale del luogo in cui il titolare del trattamento risiede o ha sede, ovvero al tribunale del luogo di residenza dell'interessato, entro il termine di trenta giorni dalla data di comunicazione del provvedimento stesso.

Roma, 10 giugno 2021

IL PRESIDENTE
Stanzione

IL RELATORE
Ghiglia

IL SEGRETARIO GENERALE
Mattei