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"Con il green pass I diritti assoluti divenuti concessioni" - Intervista a Ginevra Cerrina Feroni

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"Con il green pass I diritti assoluti divenuti concessioni"
La vice del Garante della privacy: "Pericoloso che l'emergenza sia un grimaldello per scardinare un impianto costituzionale"

Intervista a Ginevra Cerrina Feroni, vice Presidente del Garante per la protezione dei dati personali
(di Martina Pastorelli, La Verità, 11 novembre 2022)

"Si al digitale, ma con una massima visione critica rispetto a strategie di controllo e coercizione". Per Ginevra Cerrina Peroni, vicepresidente dell'Autorità garante per la privacy, "centrale è la protezione dei dati personali, a salvaguardia della persona umana e della sua sicurezza". Costituzionalista e comparatista (è professore presso l'Università di Firenze), in questa intervista affronta il tema della digitalizzazione in atto con i suoi prò e contro, ma si sofferma anche sulla gestione della pandemia, in cui abbiamo vissuto "il più grande trattamento dati personali della storia della Repubblica" e abbiamo visto trasformati "diritti assoluti in concessioni". Il termine no vax? "Un riduzionismo insopportabile".

La digitalizzazione avanza: quali criticità vede in tema di protezione di dati personali?

"La digitalizzazione del sistema amministrativo e produttivo italiano è un passo obbligato: è chiaro che se riusciremo a semplificare e velocizzare tanti processi, rendendoli più efficaci , diventeremo molto più competitivi. Però in questa transizione al digitale, l'Italia dovrebbe farsi alfiere di una visione umanistica - non tanto antropocentrica - ripristinando rapporti corretti tra i cittadini consumatori e la tecnologia, che deve essere strumentale ai primi e non viceversa. Noi siamo fatti di dati, che trattiamo di continuo: proteggerli equivale a proteggere l'identità dell'uomo. La transizione digitale comporterà flussi inarrestabili di dati verso operatori di potere pubblico e privato; la loro tutela sarà cruciale per permettere ai cittadini di controllare le informazioni che li riguardano. La nostra sfida è diffondere questa consapevolezza tra le persone".

C'è chi paventa il rischio di una "cinesizzazione" del nostro sistema: lei lo vede?

"Non so se sull'interpretazione dei dati personali sia in atto uno "scontro di civiltà", di certo rispetto alla Cina abbiamo una visione molto diversa di società; noi abbiamo costruito il nostro cammino nella storia combattendo per le libertà individuali, in primis quella di coscienza e, quindi, di scelta. Una gestione che appiattisca gli individui su meccanismi automatizzati e si fondi su decisioni assunte da algoritmi è in forte contrasto con la nostra cultura: una società guidata attraverso il controllo e la sorveglianza capillare dei cittadini desta molta preoccupazione. Da cultrice del diritto costituzionale, rilevo che il controllo sulla vita dei cittadini è da sempre un elemento strutturale degli Stati autoritari. Il carattere etico e ideologico dello stato talvolta spinge ad affermare lo stereotipo per cui "se sei un buon cittadino non hai nulla da nascondere e se hai qualcosa da nascondere è perché non sei un buon cittadino", ma questa è una idea falsata del rapporto Stato-cittadino: fu proprio l'esperienza dei totalitarismi del Novecento a risvegliare in Europa il bisogno di proteggersi dall'invadenza del pubblico, individuando dei baluardi a difesa della vita privata, specialmente nella sua dimensione spirituale e di pensiero. È questo ciò che noi oggi dobbiamo difendere nel tempo dei controlli massicci sul modello della Cina, Paese dove 250 milioni di videocamere captano persino i nei di una persona e un sistema di credito sociale valuta ogni singolo comportamento, dando premi o demeriti".

È in corso il progetto di un cloud nazionale che punta a centralizzare i dati: che cosa implica sul fronte della loro protezione?

"In generale la centralizzazione della titolarità dei trattamenti di dati personali è una garanzia per proteggerli; un unico centro di imputazione può infatti costruire un sistema di misure di tutela efficace. Se guardiamo alla sanità, settore in cui l'Italia sta progettando da decenni una interconnessione e interoperabilità dei sistemi ora in mano alle amministrazioni regionali, vediamo però che lo stato di attuazione del processo è preoccupante, perché abbiamo una implementazione a macchia di leopardo. Siamo davanti a un evidente fallimento, laddove la centralizzazione statale avviene "a costituzione invariata", cioè con le banche dati regionali che non scompaiono ma si duplicano, vanificando in tal modo la sicurezza dell'intero processo di trasmigrazione dei dati. Come Garante, sul cloud abbiamo dato delle indicazioni in termini di sicurezza ed esercitabilità dei diritti, che però il precedente governo non ha seguito".

Da questo punto di vista la gestione della pandemia che eredità ci lascia?

"Fra tracciamento dei contagi, introduzione di app e certificazione verde, in questi due anni abbiamo vissuto il più grande trattamento dati personali della storia della Repubblica. L'Autorità ha seguito la digitalizzazione delle misure di contenimento monitorando che le scelte del decisore  politico non sconfinassero in soluzioni "alla cinese" ed è intervenuta quando certe scelte hanno creato discriminazione sui luoghi di lavoro piuttosto che a scuola. Questa esperienza ha portato anche a una banalizzazione del Qr code, sdoganando la fungibilità quotidiana di un fascio di diritti che attengono alla sfera più intima della persona. Da costituzionalista, penso che sia stato un passaggio molto delicato e non privo conseguenze, dal momento che diritti costituzionali e assoluti sono stati goduti in funzione di una graziosa concessione ottenuta con l'esibizione di un greenpass. Ricordo che la tenuta di un sistema democratico si misura proprio nei momenti di emergenza e che una emergenza senza fine, che diventa il grimaldello per scardinare un impianto costituzionale di diritti, è qualcosa di molto pericoloso".

Da cittadina, quale è il suo punto di vista su dò che abbia mo vissuto e sul clima sociale che ne è conseguito?

"Non ne siamo usciti migliori e non è andato tutto bene, come si auspicava all'inizio della pandemia. E questo non solo per l'impatto sull'economia e sulle nostre vite, ma per il danno irreversibile che si è creato sotto il profilo dell'unità del Paese. Si sono scatenati sentimenti di recriminazione, psichiatrizzazione, isolamento nei confronti di persone che sul proprio corpo hanno fatto scelte diverse. Trovo insopportabile il termine "no vax", che banalizza tante realtà completamente diverse: non si può offendere, riducendolo a una categoria, un mondo molto eterogeneo che comunque ha diritto di parola in una democrazia. Ricostituire un senso di unità nel Paese non sarà impresa facile e questo, da cittadina, mi preoccupa più di tutto.

Scheda

Doc-Web
9822438
Data
11/11/22

Argomenti


Tipologie

Interviste e interventi