g-docweb-display Portlet

Neurodiritti, la libertà e i confini della scienza - Intervento di Pasquale Stanzione

Stampa Stampa Stampa
PDF Trasforma contenuto in PDF

Neurodiritti, la libertà e i confini della scienza
Intervento di Pasquale Stanzione, Presidente del Garante per la protezione dei dati personali
(Corriere della Sera, 26 gennaio 2021)

Il testo che segue anticipa i temi a cui è dedicato quest’anno il convegno organizzato dal Garante per la Giornata europea della protezione dei dati personali, domani in streaming (ore 10-13 su www.gpdp.it).

Tra le applicazioni dell’intelligenza artificiale, quelle in ambito neuroscientifico aprono scenari inesplorati, incidendo su un sostrato, quale quello cerebrale, irriducibile a mera biologia, tanto forti sono le implicazioni tra attività neurologica, coscienza, identità.

Sono stati realizzati progetti per l’installazione, nel cervello, di chip che non solo consentiranno di contenere gli effetti di patologie neurodegenerative ma che, oltretutto, permetteranno di «salvare» i ricordi, amplificandoli o cancellandoli selettivamente. E se, oggi, strumenti diagnostici avanzati quali la risonanza magnetica funzionale, possono decodificare diversi tipi di segnali cerebrali, in un domani non lontano potranno leggere i pensieri e influenzare, addirittura, gli stati mentali e il comportamento, agendo direttamente sulla sfera neuropsicologica.

Queste e altre forme di «brain reading», lasciano dunque intravedere la possibilità, almeno in un prossimo futuro, di «lettura» (ma anche condizionamento e persino predizione) di intenzioni, emozioni, asserzioni di verità. Il così rilevante incremento del potere epistemico di queste applicazioni neurotecnologiche solleva interrogativi, su cui il Garante promuoverà un confronto il 28 gennaio, in occasione della Giornata europea della protezione dei dati.

Ora, va certamente distinto l’uso strettamente terapeutico delle neurotecnologie dal loro utilizzo a fini di potenziamento cognitivo. Se, infatti, va promosso l’uso terapeutico di tali tecniche, ad esempio per la cura di malattie neurodegenerative, ben più problematico ne è l’uso a fini di potenziamento cognitivo. Si tratta non tanto e non solo del «pendio scivoloso», quanto della definizione del limite oltre il quale non sia tollerabile andare, anche per non ingenerare nuove discriminazioni nei confronti di quanti potenziati non siano e non accettino di essere.

Ogniqualvolta la scienza amplia la sfera delle possibilità, sorge il problema del limite di sostenibilità etica, giuridica, sociale, dell’innovazione. Così, qualora le neurotecnologie fondate sul brain-reading, dunque con funzione essenzialmente analitico-descrittiva dovessero effettivamente riuscire a decodificare i contenuti mentali, si avrebbero implicazioni principalmente sotto il profilo della «trasparenza» — e quindi della visibilità — del pensiero. Esse attingerebbero, dunque, alla dimensione della segretezza di quel foro interno, la cui inaccessibilità è garantita in ogni ambito.

Le tecnologie capaci, invece, di apportare condizionamenti al processo neurale, porrebbero invece essenzialmente un problema di libertà cognitiva come presupposto dell’autodeterminazione individuale. Il rischio, insomma, non è tanto e non è solo quello dell’hackeraggio del cervello quanto, prima ancora, quello dell’ammissibilità (in primo luogo) etica di un intervento eteronomo sul processo cognitivo, sinora immune da ogni interferenza esterna.

Siamo di fronte a una nuova antropologia, che esige una più effettiva difesa della dignità dal rischio di un riduzionismo (non semplicemente biologico, ma) neurologico, capace di annullare conquiste di libertà ormai talmente consolidate da essere ritenute di fatto acquisite.

Emerge dunque l’esigenza di garantire, anche rispetto a tale nuova tipologia di rischi, quel foro interno dalla cui libera formazione dipende ogni altra libertà, attraverso neurodiritti volti a coniugare l’innovazione e la dignità della persona. Il rischio, altrimenti, è che innovazioni scientifiche potenzialmente preziose per la cura di stati neurodegenerativi divengano lo strumento per fare dell’uomo una non-persona, da addestrare o classificare, normalizzare o escludere.