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Inammissibilità del ricorso nei confronti del Senato della Repubblica - 16 luglio 2009 [1638472]

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[doc. web n. 1638472]

Inammissibilità del ricorso nei confronti del Senato della Repubblica - 16 luglio 2009

IL GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI

NELLA riunione odierna, in presenza del prof. Francesco Pizzetti, presidente, del dott. Giuseppe Chiaravalloti, vicepresidente, del dott. Mauro Paissan e del dott. Giuseppe Fortunato, componenti e del dott. Filippo Patroni Griffi, segretario generale;

VISTO il ricorso presentato al Garante il 20 aprile 2009 nei confronti dell’Amministrazione del Senato della Repubblica con il quale XY (rappresentato e difeso dall’avv. Adolfo Zini), con riferimento ai dati personali che lo riguardano contenuti nel testo di un’interrogazione a risposta scritta presentata nel corso della XIV legislatura dal sen. YJ al Ministero dell’Interno e attualmente disponibile sul sito internet del Senato e reperibile anche tramite i più comuni motori di ricerca esterni allo stesso, nell’opporsi alla diffusione in tal modo effettuata, ha ribadito la richiesta, già avanzata direttamente al Senato, di trasformare in forma anonima i dati in questione ovvero di rendere "tecnicamente non possibile la diretta individuazione della pagina" che contiene il predetto atto di sindacato ispettivo "per il tramite dei comuni motori di ricerca esterni" al sito in cui la stessa è pubblicata; ciò tenuto conto del fatto che "i contenuti dell’interrogazione parlamentare" – riferendo di una denuncia presentata nei propri confronti per presunti comportamenti omissivi in violazione della disciplina in materia di sicurezza sul luogo di lavoro (d.lg. n. 626/1994) risalenti al periodo in cui lo stesso dirigeva un WZ – risulterebbero "palesemente lesivi della propria sfera personale e professionale" e, non riportando l’esito del procedimento stesso, determinerebbero "una diffusione di informazioni errate e non contestualizzate": la denuncia in questione infatti, pur presentando quale "preteso autore di illeciti comportamenti il ricorrente", sarebbe stata archiviata su richiesta del pubblico ministero senza che lo stesso sia "stato né avvisato, né indagato, né imputato e neppure ascoltato dall’Autorità giudiziaria", non essendo stata riscontrata a suo carico alcuna responsabilità in ordine ai lamentati inadempimenti; rilevato che il ricorrente ha anche chiesto di porre a carico del Senato della Repubblica le spese sostenute per il procedimento;

VISTI gli ulteriori atti d’ufficio e, in particolare, la nota del 28 maggio 2009 con la quale questa Autorità, ai sensi dell’art. 149, comma 1, del Codice, ha invitato l’Amministrazione del Senato della Repubblica a fornire un riscontro alle richieste dell’interessato, nonché l’ulteriore nota del 18 giugno 2009 con la quale questa Autorità ha disposto la proroga del termine per la decisione sul ricorso ai sensi dell’art. 149, comma 7, del Codice;

VISTA la memoria presentata il 12 giugno 2009 con la quale l’Amministrazione del Senato della Repubblica ha eccepito l’inammissibilità del ricorso rilevando che, come già comunicato all’interessato prima della presentazione del ricorso, la disciplina posta in materia di protezione dei dati personali non troverebbe applicazione con riferimento agli atti riferibili all’esercizio di funzioni o prerogative parlamentari (come espressamente sancito anche dall’art. 1, comma 3, Regolamento del Senato della Repubblica sul trattamento dei dati personali, Deliberazione del Consiglio di presidenza n. 19 del 27 luglio 2006) e che "nella materia de qua rileva il principio di pubblicità degli atti parlamentari"; a parere dell’amministrazione resistente, infatti, "l’acquisizione di dati che si realizza mediante le procedure conoscitive è strumentale all’esercizio di funzioni parlamentari tipiche (legislazione, indirizzo, controllo)": ci si trova dunque "nel cuore dell’attività politica del Parlamento, che esercita la sovranità nelle forme determinate dalla Costituzione", e tale attività "si riporta a norme di rango diverso e superiore rispetto alla disciplina della tutela dei dati personali" che non può "applicarsi all’attività istituzionale del Parlamento, ovvero l’attività legislativa e di indirizzo politico", ma solo a quella di tipo amministrativo; "nel caso del dottor XY" – prosegue la resistente – "non si tratta dell’attività amministrativa interna del Senato ma ci si trova nell’ambito dell’attività propriamente parlamentare, per la quale valgono i principi di sovranità politica del Parlamento"; nel rammentare, inoltre, che i regolamenti delle Camere sono atti normativi con efficacia erga omnes e che gli stessi non possono essere assoggettati neanche al giudizio di costituzionalità (cfr. Corte Costituzionale, nn. 9 del 1959, 129 del 1981 e 154 del 1985), l’Amministrazione resistente ha rilevato che, per le interrogazioni a risposta scritta, l’art. 153 del Regolamento del Senato "dispone che la risposta scritta sia pubblicata per esteso negli atti del Senato" – cosa che è avvenuta anche nel caso di specie –  e che, essendo "la disciplina delle interrogazioni parlamentari (…) interamente contenuta in ciascun Regolamento parlamentare", "la legge ordinaria – nella fattispecie il d. lgs. 196 del 2003 – non può interferire in relazione ad essa, in quanto la vicenda si iscrive tutta nell’ambito pubblicistico-parlamentare"; con riferimento alle richieste specifiche del ricorrente, infine, la resistente ha precisato di non ritenersi responsabile per la reperibilità dei dati in questione attraverso i motori di ricerca, essendo la stessa frutto dell’"aggressività dei motori di ricerca che a tutt’oggi non hanno un codice internazionale di autodisciplina";

VISTA la memoria depositata il 16 giugno 2009 con la quale il ricorrente, nel ribadire le istanze avanzate, ha rappresentato che "il problema non concerne l’alterazione dell’atto, ma solo la necessità (…) di renderlo tecnicamente non individuabile direttamente" da parte dei motori di ricerca esterni al sito del Senato e che il regolamento parlamentare non può comunque, a suo avviso, "porsi in contrasto con un diritto tutelato dal combinato disposto tra l’art. 2 Cost. e le norme del d.l.vo 30 giugno 2003, n. 196";

RILEVATO che a ciascuno deve essere riconosciuto il diritto alla protezione dei dati personali che lo riguardano (cfr. art. 1 del Codice e art. 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, nonché l’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo) e che, alla luce di tale diritto, appare meritevole di considerazione l’aspettativa di tutela manifestata dal ricorrente nei confronti di un trattamento di dati personali che lo riguardano che, per le modalità in cui è svolto, lo stesso ritiene lesivo della propria immagine e del proprio onore;

RILEVATO al riguardo che, come è stato più volte messo in luce da questa Autorità, non può negarsi che la diffusione di dati personali effettuata attraverso la rete Internet, sebbene lecitamente effettuata, possa, in determinati casi, comportare un sacrificio sproporzionato per i diritti e le libertà degli interessati; ciò specie laddove la rete riproponga, anche a distanza di anni, informazioni personali non aggiornate e relative a vicende anche risalenti nel tempo – e dalle quali gli interessati stessi hanno cercato di allontanarsi, intraprendendo nuovi percorsi di vita personale e sociale – che però, per mezzo della rappresentazione istantanea e cumulativa derivante dai risultati delle ricerche operate mediante i più comuni motori di ricerca, rischiano di riverberare comunque per un tempo indeterminato i propri effetti sugli interessati come se fossero sempre attuali;

RILEVATO che, per questa ragione, il Garante ha già individuato alcune modalità che i titolari del trattamento che effettuino lecitamente una diffusione di dati personali di terzi sulla rete Internet possono adottare, al manifestarsi di legittime opposizioni, per evitare che, per mezzo delle "scansioni" operate automaticamente dai motori di ricerca esterni al sito internet in cui le informazioni medesime sono pubblicate, le stesse possano essere costantemente rinvenute e restino così perennemente associate agli interessati medesimi;

RILEVATO, tuttavia, che nel caso di specie, il trattamento di dati personali relativi al ricorrente oggetto dell’odierno ricorso risulta essere effettuato dal Senato della Repubblica in relazione a un atto di sindacato ispettivo e dunque nell’esercizio di funzioni e prerogative parlamentari e in ossequio al principio relativo alla pubblicità degli atti parlamentari (cfr. art. 64, secondo comma, della Costituzione);

RILEVATO che i trattamenti di dati personali effettuati dagli organi costituzionali, e tra essi quindi dal Senato della Repubblica, sono disciplinati dagli stessi in conformità ai rispettivi ordinamenti (cfr. anche art. 22, comma 12, del Codice) nell’ambito della sfera di autonomia riservata loro dalla Costituzione (cfr. artt. 64, primo comma, della Costituzione, art. 12, primo comma, del Regolamento del Senato della Repubblica e, quindi, con riferimento al trattamento di dati personali effettuato presso lo stesso, la deliberazione n. 19 del Consiglio di Presidenza del 27 luglio 2006 recante l’approvazione del "Regolamento del Senato della Repubblica sul trattamento dei dati personali" che introduce, nell’ordinamento dell’organo costituzionale una "normativa specifica volta a precisare, in armonia con i principi posti dalla normativa comunitaria e nazionale, le modalità del trattamento, della diffusione e della comunicazione dei dati personali"); rilevato che, proprio alla luce di tale autonomia parlamentare, tra norme regolamentari e legge ordinaria vige un regime di separazione di competenze che impedisce allo strumento legislativo di regolare le attività proprie delle Camere e che alle stesse riconosce "una  indipendenza guarentigiata nei confronti di qualsiasi altro potere, cui pertanto deve ritenersi precluso ogni sindacato degli atti di autonomia normativa ex art. 64, primo comma, Cost." (Corte Cost., sentenza n. 154 del 1985; sempre con riferimento all’autonomia normativa delle Camere e all’insindacabilità dei regolamenti parlamentari, vedi, anche, Cass. civ., sez. un., 10 giugno 2004, n. 11019 e, da ultimo, anche Corte europea dei diritti dell’uomo, Affaire Savino et autres c. Italie, sentenza del 28 aprile 2009);

RITENUTO, pertanto, alla luce di ciò, di dover dichiarare inammissibile il ricorso, non potendo, allo stato, trovare applicazione al caso di specie la disciplina di cui agli artt. 145 e ss. del Codice;

RILEVATO peraltro che, con riferimento a tali tipologie di trattamento, il Garante ha già avviato con le Amministrazioni di Camera e Senato un approfondito dialogo volto a far sì che le Camere, pur nell’ambito dell’autonomia alle stesse riconosciuta dall’ordinamento, possano individuare "misure opportune per evitare che nelle interrogazioni e nelle interpellanze pubblicate in rete dopo anni, siano riportati dati e fatti che, utili per il dibattito parlamentare di allora, possono però continuare a ledere gravemente" gli interessati (discorso del Presidente dell’Autorità pronunciato il 16 luglio 2008 alla Camera dei Deputati in occasione della presentazione al Parlamento della Relazione relativa all’anno 2007), con il rischio che il delineato quadro possa risultare poco coerente con i principi di cui alla Carta europea dei diritti fondamentali e alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo; rilevato che l’interesse al tema è stato ribadito, da ultimo, il 2 luglio 2009, in occasione della presentazione della Relazione al Parlamento relativa all’anno 2008, con il discorso del Presidente dell’Autorità in cui è stato considerato che, nel caso di "pubblicazione on line delle interrogazioni parlamentari risalenti a periodi molto lontani, e spesso contenenti ricostruzioni minute di fatti poi rivelatisi non veri", "la soluzione migliore potrebbe essere quella di inibire l´accesso da parte dei motori di ricerca generalisti almeno agli atti parlamentari di sindacato ispettivo. Ciò infatti non comprometterebbe in alcun modo la loro pubblica conoscibilità";

VISTA la documentazione in atti;

VISTI gli artt. 145 e s. del Codice in materia di protezione dei dati personali (d.lg. 30 giugno 2003, n. 196);

VISTE le osservazioni dell’Ufficio formulate dal segretario generale ai sensi dell’art. 15 del regolamento del Garante n. 1/2000;

RELATORE il dott. Mauro Paissan;

TUTTO CIÒ PREMESSO IL GARANTE:

dichiara inammissibile il ricorso.

Roma, 16 luglio 2009

IL PRESIDENTE
Pizzetti

IL RELATORE
Paissan

IL SEGRETARIO GENERALE
Patroni Griffi