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Provvedimento del 30 aprile 2015 [4139417]

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[doc. web n. 4139417]

Provvedimento del 30 aprile 2015

Registro dei provvedimenti
n. 260 del 30 aprile 2015

IL GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI

NELLA riunione odierna, alla presenza del dott. Antonello Soro, presidente, della dott.ssa Augusta Iannini, vicepresidente, della prof.ssa Licia Califano, della dott.ssa Giovanna Bianchi Clerici, componenti e del dott. Giuseppe Busia, segretario generale;

VISTO il ricorso presentato al Garante in data 23 gennaio 2015 da XY, rappresentato e difeso dagli avv.ti Andrea Saccucci e Guerino Fares,  nei confronti di Google Inc. e Google Italy S.r.l. con il quale il ricorrente, ZZ dal JH al KH e in anni più recenti ai vertici di diverse organizzazioni e associazioni impegnate nell´assistenza ai malati di cancro, in relazione al rinvenimento sul web, tramite il motore di ricerca gestito da Google digitando il proprio nome e cognome, di numerosi articoli e post pubblicati tra il 2011 e il 2013 su diversi siti internet e blog contenenti dati personali che lo riguardano riferiti ad un noto scandalo c.d. del "sangue infetto" che ha interessato migliaia di pazienti che erano stati sottoposti a trasfusioni di sangue poi risultato infetto,  ha chiesto la deindicizzazione degli url relativi; ciò in quanto le notizie e i commenti in essi riportati, che riferiscono di una responsabilità o comunque di un  suo coinvolgimento (in ragione del ruolo di vertice dell´amministrazione sanitaria allora ricoperto) nella vicenda citata, oltre ad essere risalenti agli anni ´90, non hanno trovato alcuna rispondenza sul piano giudiziario (tanto che il ricorrente non è mai stato chiamato a rispondere in qualsiasi sede giudiziaria - penale, civile o amministrativa  – in merito al contagio da trasfusioni o da somministrazione di emoderivati infetti) ed associano indebitamente elementi che non presentano alcuna connessione tra loro in modo da "ingenerare nel pubblico il convincimento che l´interessato sia implicato nello scandalo del sangue infetto" ; il ricorrente ha quindi evidenziato come le notizie in questione - che rappresentano "circostanze di fatto palesemente false in ragione della sua assoluta estraneità alla vicenda del sangue infetto" e che per ciò stesso "non possono per definizione considerarsi di pubblico interesse", ledono gravemente "la sfera reputazionale della sua persona" fino "a screditare il suo operato nell´ambito delle associazioni di volontariato oncologico cui partecipa";

VISTI gli ulteriori atti d´ufficio e, in particolare, la nota del 28 gennaio 2015 con la quale questa Autorità, ai sensi dell´art. 149 comma 1 d.lgs. n. 196 del 30 giugno 2003, Codice in materia di protezione dei dati personali (di seguito "Codice"), ha invitato il titolare del trattamento a fornire riscontro alle richieste dell´interessato, nonché la nota del 23 marzo 2015 con cui è stata disposta, ai sensi dell´art. 149 comma 7 del Codice, la proroga del termine per la decisione sul ricorso;

VISTE le note del 6 e 12 febbraio 2015, con cui la società resistente, rappresentata e difesa dagli avv.ti Marco Berliri e Massimiliano Masnada, ha evidenziato che il ricorrente, pur richiamando la c.d. "sentenza Costeja" del 13 maggio 2014 (C-131/12), "non agisce per l´esercizio del c.d. diritto all´oblio, bensì lamenta la presunta – e non verificata – diffamatorietà delle informazioni contenute negli articoli elencati nel ricorso (…) e quindi agisce per la tutela del proprio diritto alla reputazione e all´onore (…) interpretando in modo non corretto la sentenza Costeja la quale si riferisce a una fattispecie inconferente al caso che ci occupa"; va ricordato infatti che "il Sig. Costeja non eccepiva il carattere diffamatorio degli articoli che lo riguardavano indicizzati da Google, bensì il fatto che, stante il trascorrere del tempo, si era perduto l´interesse pubblico alle informazioni ivi contenute sicché prevaleva il suo diritto all´oblio, ossia il diritto a non vedere diffusa ulteriormente la notizia mediante l´indicizzazione da parte del motore di ricerca"; del resto, per quanto attiene il diritto all´oblio, già prima della citata pronuncia della Corte di Giustizia, "dottrina e giurisprudenza erano concordi nel ritenere che lo stesso deve essere identificato nel diritto di ottenere la cancellazione dei propri dati personali quando, per effetto del trascorrere del tempo, la loro diffusione non è più giustificata da esigenze di tutela della libertà di informazione e del diritto di cronaca" e la stessa "Suprema Corte aveva specificato che l´oblio deve intendersi nel diritto "a che non vengano ulteriormente divulgate notizie che per il trascorrere del tempo risultino ormai dimenticate o ignote alla generalità dei consociati (sentenza n. 5525/2012); Google ha quindi evidenziato che nel caso in esame "tutti gli articoli oggetto della richiesta di deindicizzazione sono stati pubblicati tra il 2011 e il 2013 e fanno riferimento a circostanze attuali (come la nomina del prof. XY alla presidenza dell´European Cancer Patient Coalition ovvero la vicenda processuale per il c.d. scandalo del sangue infetto, tuttora in corso)", per cui non sussisterebbero "i requisiti per la tutela dell´oblio indicati nella sentenza Costeja e riassunti nelle Linee Guida del WP29; in particolare infatti, "tra i criteri indicati nelle Linee Guida citate (…) rileva in primo luogo quello del ruolo dell´interessato nella vita pubblica. Sul punto i Garanti europei si sono espressi indicando, quale regola generale, la necessità di proteggere il pubblico da condotte professionali o pubbliche improprie", specificando inoltre che, "a titolo di esempio, politici, alti funzionari pubblici, uomini di affari e professionisti (iscritti agli albi) possono essere solitamente considerati come coloro che svolgono un ruolo nella vita pubblica"; in tal senso si era peraltro espressa, in precedenza la stessa Suprema Corte precisando che "il diritto dell´interessato a pretendere che proprie, passate vicende personali siano pubblicamente dimenticate, trova limite nel diritto di cronaca ogni qualvolta "sussista un interesse effettivo ed attuale alla loro diffusione, nel senso che quanto recentemente accaduto trovi diretto collegamento con quelle vicende stesse e ne rinnovi l´attualità" (sentenza n. 16111/2013); la resistente ha quindi affermato di non poter accogliere le richieste dell´interessato in quanto, alla luce dei criteri sopraindicati, "l´interesse del pubblico alla conoscenza delle vicende che hanno in qualche modo coinvolto l´interessato – senza dubbio figura pubblica di primo livello – fosse prevalente rispetto all´esercizio del diritto all´oblio"; gli articoli in questione, infatti, contengono "commenti e critiche a vicende pubbliche che lo riguardano oggi e a quelle che lo hanno riguardato in passato, ma le stesse hanno un evidente riflesso anche sulle vicende odierne e una indiscutibile rilevanza pubblica. Ad esempio, in tali articoli viene esercitato un diritto di critica rispetto alla nomina del ricorrente a cariche importanti all´interno di organizzazioni pubbliche (o per lo meno che svolgono attività di interesse pubblico) che coinvolgono cittadini europei"; Google ha altresì sottolineato come non le competa "stabilire la veridicità dei fatti narrati, né l´asserito carattere diffamatorio delle critiche mosse al prof. XY. Google si limita infatti ad indicizzare gli articoli in base ad algoritmi matematici, senza alcun intervento sui contenuti pubblicati da terzi, né condivisione", per cui "resta salvo il diritto del ricorrente – laddove ritenesse di essere stato diffamato – di agire presso le competenti autorità giudiziarie per chiedere agli autori e responsabili delle pubblicazioni rettifiche, cancellazioni e risarcimenti"; anche su quest´ultimo profilo le sopra citate Linee guida del WP29 hanno chiarito che sebbene ""i Garanti europei riconoscano  che alcuni risultati di ricerca contengono link a contenuti che possono essere parte di una campagna personale contro qualcuno, consistenti in "sproloqui" e commenti personali forse sgradevoli (…)", i Garanti stessi non ritengono necessario che, per questo, il risultato della ricerca debba essere deindicizzato;

VISTA la nota del 13 febbraio 2015 con cui il ricorrente, nel ribadire le proprie richieste, ha affermato che le stesse certamente non riguardano la "tutela della sua reputazione rispetto ad accuse aventi contenuto diffamatorio, bensì la legittimità del trattamento da parte di Google di un dato falso (…)". Lo stesso infatti "è ritenuto coinvolto nella vicenda del sangue infetto in ragione di un colossale fraintendimento ingeneratosi nella pubblica opinione e amplificato dal clamore suscitato dalla vicenda stessa sin dal primo momento (…). A causa di tale fraintendimento mediatico, alimentato cospicuamente proprio dalla circolazione incontrollata di informazioni sul web, l´ex ZZ si è ritrovato, del tutto inopinatamente, ad essere additato come corresponsabile dello scandalo. Ma ciò è palesemente falso e a questo proposito si evidenzia che la diffamatorietà non può che essere in re ipsa, dal momento che il ricorrente non è mai stato coinvolto in alcun procedimento (civile, penale o amministrativo) relativo alla vicenda del sangue infetto, come si può ricavare, ad esempio, dalla lettura degli atti del processo attualmente in corso dinanzi al Tribunale di Napoli"; nella medesima nota è stato altresì evidenziata l´infondatezza dell´eccezione di controparte laddove ha affermato che gli articoli in questione sono di recente pubblicazione (tra il 2011 e il 2013); gli stessi infatti, "anche se pubblicati in occasione di fatti recenti come l´assunzione della carica di Presidente di ECPC da parte dell´interessato, hanno il solo scopo di criticare l´impegno pubblico del ricorrente nel settore del volontariato nazionale ed internazionale, mediante la diffusione di un´informazione falsa che lo associa alla vicenda del sangue infetto, una vicenda assai risalente nel tempo, anzi ricompresa dalla narrazione storicistica nell´epoca c.d. di tangentopoli"; ed anche laddove volesse ritenersi di "attualità (perché le vicende processuali sono ancora in corso), questa attualità non può certo riguardare il ricorrente proprio perché lo stesso è del tutto estraneo ad ogni procedimento giudiziario"; quanto, infine, al sostenuto interesse pubblico a conoscere "le informazioni relative alla vita politica di un individuo, ex ZZ", la resistente "omette (deliberatamente) di considerare che le informazioni contenute negli articoli censurati sono del tutto false e più volte smentite pubblicamente" ed anzi, "assai meritoria risulta l´attività legislativa promossa dal XY per la tutela dei pazienti che necessitano di trasfusioni e per la garanzia di una più elevata qualità delle cure a base di emoderivati (…)";  ciò posto il ricorrente ha nuovamente sottolineato che "non si capisce quale possa essere l´interesse pubblico al trattamento, mediante indicizzazione su motore di ricerca, di informazioni palesemente false", posto che nel caso di specie, "il diritto da bilanciare con i diritti fondamentali del ricorrente, non è il legittimo interesse pubblico al libero accesso all´informazione, bensì il diritto al libero accesso all´informazione corretta";

VISTO il verbale dell´audizione tenutasi presso la sede di questa Autorità il 16 febbraio 2015 nel corso della quale il ricorrente, dopo aver rappresentato i vari provvedimenti da lui promossi in qualità di ZZ negli anni 1989-1993, sia sul piano legislativo che sul piano amministrativo, nel campo della sicurezza del sangue e della tutela dei contagiati da trasfusioni ed emoderivati infetti, ha precisato di avere più volte chiesto e ottenuto la rettifica delle informazioni false immesse sul web relativamente alla questione del sangue infetto; ciononostante tali informazioni continuano ad essere indicizzate generando un effetto moltiplicatore che impedisce l´oblio delle notizie medesime, per cui il ricorrente ha insistito nella richiesta di deindicizzazione degli url che lo riguardano in quanto "unico strumento per fermare la diffusione on line di un dato falso";  la parte resistente ha quindi ulteriormente ribadito quanto affermato nella memoria del 12 febbraio 2015, affermando che le ulteriori difese svolte dal ricorrente hanno dimostrato che "il vero oggetto di tutela è la propria reputazione e il proprio onore rispetto a notizie che si considerano diffamatorie e allusive"; 

CONSIDERATO che la sentenza della Corte di Giustizia dell´Unione Europea del 13 maggio 2014 c-131/12 (c.d. sentenza Costeja) ha riconosciuto il diritto dell´interessato di rivolgersi al gestore del motore di ricerca al fine di ottenere la deindicizzazione dei risultati ottenuti inserendo come chiave di ricerca il nome del soggetto cui si riferiscono le informazioni, in particolare quando le stesse, tenuto conto dell´insieme delle circostanze caratterizzanti il caso oggetto della richiesta, risultino "inadeguate, non pertinenti o non più pertinenti ovvero eccessive in rapporto alle finalità per le quali sono state trattate e al tempo trascorso"; considerato che tale diritto all´oblio, come già affermato in dottrina e in giurisprudenza antecedentemente alla sentenza Costeja, anche laddove sussista il suo principale elemento costitutivo ovvero il  trascorrere del tempo, incontra un limite quando le informazioni in questione sono riferite al ruolo che l´interessato riveste nella vita pubblica con conseguente prevalenza dell´interesse della collettività ad accedere alle stesse rispetto al diritto dell´interessato alla protezione dei dati;

CONSIDERATO che le Linee guida sull´attuazione della sentenza Costeja emanate dal WP29 il 26 novembre 2014, hanno individuato, tra i criteri che devono essere considerati per la disamina delle richieste di deindicizzazione ai motori di ricerca, quello del ruolo dell´interessato nella vita pubblica e, correlativamente, quello della natura (pubblica o privata) delle informazioni allo stesso riferite; considerato infatti che "la probabilità che una certa informazione sia pertinente è maggiore se si tratta di un´informazione legata all´attuale vita lavorativa dell´interessato, avuto riguardo alla natura dell´attività svolta e all´interesse legittimo del pubblico ad avere accesso a tale informazione" (punto 5 lett.a); considerato che le medesime Linee guida indicano espressamente, tra i soggetti che svolgono "un ruolo nella vita pubblica, anche solo a titolo di esempio, politici, alti dirigenti della pubblica amministrazione, imprenditori e professionisti" e che l´interesse del pubblico a conoscere informazioni attinenti al loro ruolo e alla loro attività pubblica deve ritenersi sussistere, in via generale, laddove l´accesso alle stesse possa "proteggere il pubblico da comportamenti professionali o pubblici impropri" (punto 2));

RITENUTO che la richiesta formulata dal ricorrente con il ricorso in esame, di deindicizzazione degli url che lo riguardano rinvenibili mediante il motore di ricerca gestito dalla resistente, non appare in via generale meritevole di considerazione in quanto non sussistono i presupposti riconosciuti anche di recente dalla Corte di Giustizia Europea nella citata sentenza del 13 maggio 2014 e nelle richiamate Linee guida sull´attuazione della stessa; rilevato infatti che, nel caso di specie, le notizie rinvenibili agli url in questione, pubblicate in un arco temporale compreso tra il 2011 e il 2013, sebbene riferite a fatti accaduti negli anni ´90, risultano di evidente pubblico interesse, tenuto conto dell´attività svolta dal ricorrente sia all´epoca dei fatti narrati che nell´attualità e della sua innegabile notorietà; rilevato infatti che le notizie riportate riguardano una vicenda politica e processuale (peraltro non ancora conclusa) di ampio rilievo che ha coinvolto il ricorrente almeno in quanto ha operato nel settore della sanità al vertice del relativo dicastero e che ha interessato migliaia di persone che sono state contagiate a seguito di trasfusioni o somministrazione di emoderivati infetti;

RITENUTO tuttavia che gli articoli pubblicati sui blog www.linkiesta.it e www.informarexresistere.fr rispettivamente il ZZ recante il titolo "KK" e il YY dal titolo "JJ", contengono diversi elementi (come la fotografia del ricorrente posta in evidenza nell´articolo KK" o il riferimento a situazioni  equivocamente richiamate), dai quali si evincerebbe un´associazione diretta del ricorrente alla vicenda giudiziaria c.d. del sangue infetto e che pertanto, limitatamente agli url riferiti ai due articoli citati, il ricorso è parzialmente accolto e deve essere, quindi ordinato al titolare del trattamento, ai sensi dell´art. 150 comma 2 del Codice, quale misura a tutela dell´interessato, di provvedere alla deindicizzazione degli url www.... e www....,  entro trenta giorni dalla ricezione del presente provvedimento;

RITENUTO invece che, con riferimento ai restanti articoli, alla luce delle considerazioni sopra esposte, il ricorso deve essere dichiarato infondato;

RILEVATO che resta impregiudicata la facoltà per il ricorrente di adire la competente autorità giudiziaria al fine di tutelare, i propri diritti con riferimento a condotte ritenute diffamatorie o altrimenti lesive di  diritti della personalità (profili in ordine ai quali questa Autorità non ha competenza);

RITENUTO che sussistono giusti motivi per compensare fra le parti le spese del procedimento, alla luce della peculiarità della vicenda;

VISTA la documentazione in atti;

VISTI gli artt. 145 e ss. del Codice;

VISTE le osservazioni dell´Ufficio formulate dal segretario generale ai sensi dell´art. 15 del regolamento del Garante n. 1/2000;

RELATORE il dott. Antonello Soro;

TUTTO CIÒ PREMESSO IL GARANTE:

a) accoglie il ricorso limitatamente agli url www.... e www....,  e ordina al titolare del trattamento ai sensi dell´art. 150 comma 2 del Codice, quale misura a tutela dell´interessato, di provvedere alla loro deindicizzazione, entro trenta giorni dalla ricezione del presente provvedimento;

b)  dichiara il ricorso infondato con riferimento ai restanti url.

Il Garante, nel chiedere a Google, ai sensi dell´art. 157 del Codice, di comunicare quali iniziative siano state intraprese al fine di dare attuazione al presente provvedimento e di fornire comunque riscontro entro quarantacinque giorni dalla ricezione dello stesso, ricorda che l´inosservanza di provvedimenti del Garante adottati in sede di decisione dei ricorsi è punita ai sensi dell´art. 170 del Codice. Si ricorda che il mancato riscontro alla richiesta ex art. 157 è punito con la sanzione amministrativa di cui all´art. 164 del Codice.

Ai sensi degli artt. 152 del Codice e 10 d.lgs. n. 150 del 2011, avverso il presente provvedimento può essere proposta opposizione all´autorità giudiziaria, con ricorso depositato al tribunale ordinario del luogo ove ha la residenza il titolare del trattamento dei dati, entro il termine di trenta giorni dalla data di comunicazione del provvedimento stesso, ovvero di sessanta giorni se il ricorrente risiede all´estero.

Roma, 30 aprile 2015

IL PRESIDENTE
Soro

IL RELATORE
Soro

IL SEGRETARIO GENERALE
Busia