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Provvedimento del 12 giugno 2019 [9126859]

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[doc. web n. 9126859]

Provvedimento del 12 giugno 2019

Registro dei provvedimenti
n. 139 del 12 giugno 2019

IL GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI

NELLA riunione odierna, alla presenza del dott. Antonello Soro, presidente, della dott.ssa Augusta Iannini, vicepresidente, della prof.ssa Licia Califano e della dott.ssa Giovanna Bianchi Clerici, componenti e del dott. Giuseppe Busia, segretario generale;

VISTO il  Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 (di seguito, “Regolamento”);

VISTO il Codice in materia di protezione dei dati personali, recante disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento nazionale al Regolamento (UE) 2016/679 (d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101, di seguito “Codice”);

VISTO il ricorso presentato al Garante in data 18 maggio 2018 con il quale XX, rappresentato e difeso dagli avv.ti XX, XX e XX, ribadendo le istanze già avanzate con il previo interpello, ha chiesto ad Ask Media Group, Duck Duck Go Inc., IAC Search & Media, Google LLC, Google Italy S.r.l., Lycos Inc. e Yahoo Oath di ottenere la rimozione, dai siti europei ed extraeuropei, di alcuni risultati di ricerca rinvenibili in associazione al proprio nominativo e collegati a contenuti, connessi all'attività professionale svolta dal medesimo, dei quali viene contestata la veridicità, nonché delle copie cache, dei relativi snippet e degli ulteriori URL che "periodicamente vengono generati";

CONSIDERATO che il ricorrente ha, in particolare, rappresentato:

il pregiudizio derivante alla propria reputazione personale e professionale dai contenuti degli articoli reperibili tramite gli URL oggetto di richiesta di rimozione, i quali riferiscono di "fatti e addebiti del tutto infondati e gravemente lesivi e diffamatori" connessi alla sua attività di professore universitario di psicologia presso prestigiose università americane;

che, nello specifico, all'interno di detti articoli il medesimo viene descritto "come un accademico uso a relazioni sessuali (anche multiple e/o di gruppo) con studentesse e incline ad abusare della propria posizione professionale per ottenere prestazioni sessuali da soggetti non consenzienti", affermazioni non comprovate da alcuna indagine giudiziaria, né denuncia avanzata nei suoi confronti e dunque palesemente inesatte e fuorvianti in violazione di quanto previsto al punto 4 della parte II delle “Linee Guida sui criteri di de-listing” adottate il 26 novembre 2014 dal WP Art. 29;

che non vi sarebbe alcun interesse pubblico alla conoscenza delle notizie contenute nei predetti articoli in quanto il medesimo, "pur essendo uno stimato professore di caratura internazionale, non ha una notorietà, né una particolare posizione nella vita pubblica";

di aver presentato una denuncia-querela, presso la procura di Padova, nei confronti del direttore del giornale che per primo ha pubblicato tali informazioni, dell'autore dell'articolo, nonché di altri soggetti che hanno contribuito alla propalazione di "ulteriori infamanti affermazioni del tutto false";

che la deindicizzazione debba avvenire "ovunque e non solo nell'Unione Europea" tenuto conto del fatto che egli è un cittadino italiano, residente, all’epoca della presentazione del reclamo, negli Stati Uniti, e che la sua attività si svolge in atenei ed istituzioni italiane ed internazionali, attività, ad oggi, gravemente compromessa dalla circolazione di tali informazioni;

CONSIDERATO che:

a partire dal 25 maggio 2018 è divenuto applicabile il Regolamento che ha reso necessario l’adeguamento del quadro normativo nazionale esistente in materia;

l’Autorità, in virtù della diretta applicabilità del Regolamento ed in attesa dell’intervento del legislatore nazionale, ha disposto, con provvedimento n. 374 del 31 maggio 2018, la disapplicazione, a partire dalla predetta data, delle norme relative al procedimento su ricorso contenute nel Codice in quanto ritenute incompatibili con le disposizioni relative ai reclami di cui agli artt. 77 ss. del Regolamento stesso;

con d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101 - recante “Disposizioni per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati)” - sono state apportate le modifiche necessarie ad adeguare il contenuto del Codice alla normativa europea, prevedendo, tra l'altro, l’espressa abrogazione delle disposizioni relative alla tutela alternativa a quella giurisdizionale contenute nella sezione III del capo I del titolo I della parte III del medesimo Codice;

CONSIDERATO che:

l’Autorità, con nota del 5 luglio 2018, ha rappresentato all’interessato gli effetti dell’intervenuto mutamento del quadro normativo, chiedendo di manifestare l’eventuale volontà di trattare la propria istanza a titolo di reclamo ed evidenziando, con successiva nota del 20 settembre 2018, la ritenuta sussistenza dei presupposti di applicazione territoriale del Regolamento solo nei confronti di Google e di Oath (Emea) Limited (gestore del motore di ricerca Yahoo!), in quanto società stabilite nell’Unione europea;

il reclamante ha manifestato tale esplicita volontà con comunicazione del 18 luglio 2018, precisando, con successiva nota del 26 settembre 2018, di voler procedere nei soli confronti di Google e di Oath (Emea) Limited;

l’atto presentato deve, pertanto, essere deciso dal Garante secondo le disposizioni applicabili al procedimento su reclamo attualmente contenute nell'art. 143 del Codice novellato;

l’Ufficio ha provveduto, con successiva nota interna dell’11 gennaio 2019, a disporre la restituzione dei diritti di segreteria già versati dall’interessato per la presentazione del ricorso, tenuto conto della gratuità del reclamo espressamente prevista dal Regolamento (crf. art. 57, par. 3, Reg.);

RILEVATO che:

il trattamento di dati effettuato tramite i motori di ricerca gestiti dai due titolari coinvolti nel reclamo è definibile come trattamento transfrontaliero di dati, secondo la definizione contenuta nell’art. 4, punto 23, del Regolamento;

l’Autorità ha ritenuto, sulla base delle informazioni all'epoca disponibili, di avviare l’istruttoria solo nei confronti di Google – rispetto alla quale non risultava, infatti, individuabile in ambito UE uno stabilimento definibile come principale (cfr. art. 4, punto 16) ai fini dell’applicazione del meccanismo dello “sportello unico” (cd. one stop shop) di cui agli artt. 56 e 60 del Regolamento – riservandosi di attivare la procedura di cooperazione con riguardo alle richieste avanzate nei confronti di Oath (Emea) Limited in quanto società avente il proprio stabilimento principale in Irlanda;

VISTA la nota del 22 novembre 2018 con la quale Google Italy e Google LLC, rappresentate e difese dagli avv.ti XX, XX e XX, hanno rappresentato:

che gli URL individuati nella memoria con i nn. 8 e 13 (cfr. pag. 4 della stessa) non risultano indicizzati con il nome del reclamante;

di non poter aderire alla richiesta di rimozione degli ulteriori URL ritenendo non sussistenti, nel caso di specie, i presupposti per invocare il diritto all'oblio trattandosi di notizie molto recenti, collocabili nel periodo 2017/2018, riguardanti fatti gravi contestati all'interessato che, "a prescindere dal loro rilievo penale, sono di evidente e perdurante interesse pubblico", tenuto conto del ruolo ricoperto dal medesimo e della conseguente esigenza di preservare la collettività da eventuali condotte professionali improprie;

che gli articoli citati riportano la notizia di indagini avviate nei confronti del reclamante da parte di istituzioni universitarie presso le quali ha svolto la propria funzione, oltreché di un procedimento penale, pendente innanzi ad un tribunale americano, “instaurato da una sua ex studentessa di 23 anni (…) che avrebbe subito un forte trauma a seguito di rapporti sessuali non consensuali” con il medesimo che peraltro, secondo quanto riportato in alcuni di detti articoli, sarebbe stato già coinvolto in vicende analoghe nel corso del 2012;

la natura giornalistica dei contenuti reperibili tramite gli URL oggetto di richiesta di rimozione che risultano pubblicati su diversi organi di stampa di rilevanza internazionale;

l’inammissibilità della richiesta di rimozione globale in quanto esorbitante “il campo di applicazione del GDPR e del Codice Privacy, [e] gli stessi limiti del Trattato dell’Unione Europea”, chiedendo, nell’ipotesi di accoglimento del reclamo, la sospensione della decisione sul punto in attesa della pronuncia della Corte di Giustizia dell'Unione europea alla quale la questione è stata deferita;

VISTA la nota del 6 dicembre 2018 con la quale il reclamante ha ribadito le proprie richieste, eccependo, con riguardo alle osservazioni presentate dal titolare del trattamento, che:

l’URL individuato nella memoria di controparte con il n. 8, che quest’ultima ha dichiarato essere non più visibile in associazione al proprio nome, era tuttavia reperibile al momento della presentazione del reclamo, mentre quello indicato con il n. 13 sarebbe tuttora visibile utilizzando il proprio nominativo in collegamento con altri criteri di ricerca, quali “New School”, “sexual” ed “harassment”;

l’elemento temporale, che costituisce un criterio fondamentale per la valutazione delle richieste di deindicizzazione, incontra tuttavia dei limiti laddove le informazioni reperibili in rete siano errate, rappresentando che, nel caso di specie, le stesse siano “non già inesatte, ma tout court inesistenti perché relative ad eventi mai contestati e mai provati”;

l’Autorità, sebbene non possa sindacare la diffamatorietà di determinati contenuti, può certamente valutare la liceità del trattamento realizzato con la diffusione dei dati in questione;

contrariamente a quanto affermato da controparte, il medesimo non ricoprirebbe alcun ruolo pubblico, in quanto “l’istituzione accademica nella quale si sono verificati i fatti all’origine di questo procedimento, è un’istituzione privata (non pubblica) con la quale [aveva] stipulato un contratto di diritto privato di docenza”;

non vi è mai stata alcuna iniziativa giudiziale avviata nei suoi confronti né in sede civile, né in sede penale, precisando che il giudizio al quale Google fa riferimento nella sua memoria è stato promosso avverso l’istituzione universitaria presso la quale collaborava e nel quale non risulta essere stato convenuto;

solo quattro degli URL contestati fanno riferimento ad articoli di stampa che, peraltro, “hanno fatto da cassa di risonanza a notizie non verificate propalate da altri canali di comunicazione”;

la richiesta di rimozione globale dei risultati di ricerca indicati nell’atto di reclamo deve ritenersi ammissibile in quanto la corretta attuazione del diritto all’oblio, così come riconosciuto nella sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea del 13 maggio 2014 (causa C-131/12), comporta che la deindicizzazione debba “essere fatta in modo tale che gli interessati siano effettivamente protetti contro l’impatto della diffusione universale e l’accessibilità delle informazioni personali offerta dai motori di ricerca qualora le ricerche siano effettuate sulla base del nome degli individui”;

VISTA la nota del 18 gennaio 2019 con la quale il titolare del trattamento ha ribadito la propria posizione evidenziando, in particolare, che:

in un caso analogo a quello oggetto del presente provvedimento, il Tribunale di Milano (sentenza n. 7846 del 5 settembre 2018), pronunciandosi sull’opposizione proposta da Google avverso un provvedimento adottato dal Garante, “ha accertato e dichiarato che contenuti risalenti al 2017 e relativi a molestie e stalking posti in essere da un professore universitario (pur in assenza di indagini o condanne) sono da considerarsi “attuali, aggiornati, pertinenti e (...) di indubbio pubblico interesse””;

quanto asserito dal reclamante in ordine al fatto che le informazioni pubblicate “sarebbero inesatte e farebbero parte di una campagna diffamatoria (“rant”)” posta in essere nei suoi confronti, sarebbe smentito dal fatto che “tali contenuti sono stati pubblicati su organi di stampa di rilievo internazionale (…) i quali verificano le notizie prima della loro pubblicazione”, oltreché da un “organo di informazione ufficiale dell’Università (…) dove lo stesso (…) insegnava che non avrebbe avuto alcun interesse a porre in essere una campagna diffamatoria nei confronti di un membro del corpo docente”;

l’articolo pubblicato sull’organo di informazione universitario contiene “la lettera inviata nell’ottobre 2017 dall’Università alla studentessa che aveva accusato di molestie sessuali il Prof. XX”, nella quale si dava atto dell’intervenuta denuncia a carico del medesimo, nonché dell’avvio di un’indagine nei suoi confronti che, tuttavia, non è “giunta a decisione solo perché il Prof. XX, per evitare il verdetto, si è dimesso il giorno prima della chiusura dell’inchiesta, così impedendo all’Università di pubblicare il report”;

VISTA la nota del 24 aprile 2019 con la quale l’interessato, nel rendere noto di avere in Italia la sua attuale residenza, ha ribadito le proprie richieste rappresentando, in particolare, che “gli autorevoli giornali americani” cui si riferisce la resistente nella propria memoria sarebbero, in realtà, assimilabili a “tabloid scandalistici” di dubbia credibilità e precisando che, in ordine ai fatti contestati, non sono mai stati attivati procedimenti giudiziari a suo carico, avendo di contro egli stesso agito in giudizio a tutela della sua reputazione nei confronti di alcune testate giornalistiche;

CONSIDERATO, preliminarmente, che:

come comunicato da Google alle Autorità di controllo europee, il trattamento di dati personali connesso all’utilizzo del proprio motore di ricerca da parte degli utenti risulta direttamente gestito, anche per il territorio UE, da Google LLC avente sede negli Stati Uniti;

la competenza del Garante a trattare i reclami proposti nei confronti della società resistente è da ritenersi pertanto fondata sull’applicazione dell’art. 55, par. 1, del Regolamento in quanto la società risulta stabilita all'interno del territorio italiano tramite Google Italy, secondo i principi fissati dalla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea del 13 maggio 2014 (causa C-131/12);

benché il reclamante, che è cittadino italiano, all’atto di presentazione del reclamo risiedesse negli Stati Uniti, ha attualmente la propria residenza in Italia, luogo nel quale, gli URL dei quali è chiesta la rimozione erano visibili già al momento della presentazione del reclamo stesso e nel quale il medesimo aveva propri interessi, avendo ricevuto incarichi anche da parte di atenei italiani ed avendo presentato, con riguardo alla vicenda descritta, una denuncia-querela per diffamazione nei confronti del giornale che ha pubblicato il primo degli articoli apparsi in rete;

RILEVATO, relativamente alla richiesta diretta ad ottenere la rimozione degli URL individuati con i nn. 8 e 13 nella memoria depositata da Google nel corso del procedimento, che:

il titolare del trattamento ha comunicato che detti URL non sono restituiti dal motore di ricerca in associazione al nominativo del reclamante;

quest'ultimo ha confermato, quanto al primo degli URL sopra indicati, la non reperibilità di esso, affermando che il secondo sarebbe invece tuttora visibile, pur se utilizzando il nominativo dell'interessato unitamente a chiavi di ricerca diverse da esso;

PRESO ATTO della dichiarazione resa da Google - dichiarazione della quale l’autore risponde ai sensi dell’art. 168 del Codice “Falsità nelle dichiarazioni al Garante e interruzione dell’esecuzione dei compiti o dell’esercizio dei poteri del Garante” - con riguardo alla non reperibilità in associazione al nominativo dell'interessato dell'URL individuato con il n. 8 e ritenuto, pertanto, che non vi siano i presupposti per l'adozione di provvedimenti in merito da parte dell’Autorità; 

CONSIDERATO, con riguardo all’istanza di rimozione dei restanti URL - ivi incluso quello indicato con il n. 13 nella memoria di Google, tenuto conto delle dichiarazioni contrastanti rese dalle parti in ordine alla sua perdurante reperibilità in rete – che, ai fini della valutazione dell’esistenza dei presupposti per ritenere legittimamente esercitato il diritto all’oblio, occorre tenere conto, oltre che dell’elemento costituito dal trascorrere del tempo, anche degli ulteriori criteri espressamente individuati dal WP Art. 29 – Gruppo Articolo 29 sulla protezione dei dati personali attraverso le apposite “Linee Guida” adottate il 26 novembre 2014 a seguito della citata sentenza della Corte di Giustizia;

RILEVATO che tali Linee guida prevedono, tra i criteri generali da tenere presenti al fine di effettuare un corretto bilanciamento, nei casi di esercizio del diritto all´oblio, con il contrapposto diritto/dovere di informazione, quello del trattamento pregiudizievole per l´interessato (punto 8);

CONSIDERATO che, ai fini di tale bilanciamento, deve essere altresì apprezzata la natura delle informazioni oggetto dell’istanza, dal momento che in relazione a "informazioni che sono parte (…) di campagne personali contro un determinato soggetto, sotto forma di "rant" (esternazioni negative a ruota, ndt) o commenti personali spiacevoli", la deindicizzazione sarà in genere favorevolmente considerata nei casi di "risultati contenenti dati che sembrano avere natura oggettiva ma che sono, in realtà, inesatti in termini reali"  (punto 5, lettera c), delle citate "Linee Guida");

RITENUTO che quanto emerso in sede istruttoria, le dichiarazioni rese dall’interessato - che devono considerarsi effettuate ai sensi dell’art. 168 del Codice - circa l’assenza di alcun procedimento penale a suo carico nonché, nonché la querela per diffamazione dallo stesso presentata nei confronti, tra gli altri, della testata giornalistica che ha pubblicato il primo articolo nel quale si è dato conto della vicenda, inducano a ritenere inesatti i dati contenuti in quello e negli altri articoli oggetto dell’istanza;

RILEVATO che la resistente, in qualità di titolare del trattamento connesso all´indicizzazione, che "si aggiunge a quello effettuato dagli editori di siti web (…) deve assicurare" – come sancito dalla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea del 13 maggio 2014 (causa C-131/12) – "nell´ambito delle sue responsabilità, delle sue competenze e delle sue possibilità”, che tale trattamento si conformi alla disciplina di protezione dei dati personali;

CONSIDERATO che, come affermato anche dalle citate Linee Guida (cfr. punto 4 della Parte II), le Autorità di Protezione dei Dati "tenderanno a ritenere idonea la deindicizzazione di un risultato di ricerca se si rilevano inesattezze in termini di circostanze oggettive e se ciò genera un´impressione inesatta, inadeguata o fuorviante rispetto alla persona interessata;

RILEVATO pertanto, sulla base di quanto emerso nel corso del procedimento, che la perdurante reperibilità sul web dei contenuti all´esame nel presente ricorso ha un impatto "sproporzionatamente negativo" sulla sfera del reclamante";

RITENUTO pertanto di dover accogliere parzialmente il reclamo ordinando alla resistente di provvedere, entro venti giorni dalla ricezione del presente provvedimento, alla rimozione degli Url indicati;

VISTA la documentazione in atti;

VISTE le osservazioni formulate dal segretario generale ai sensi dell’art. 15 del regolamento del Garante n. 1/2000;

RELATORE la dott.ssa Augusta Iannini;

TUTTO CIÒ PREMESSO IL GARANTE

a) ai sensi dell’art. 57, par. 1, lett. f), del Regolamento prende atto, con riguardo all’URL indicato con il n. 8 nella memoria del titolare del trattamento, che lo stesso, secondo quanto dichiarato dal titolare nel corso del procedimento, non è restituito quale risultato di ricerca in associazione al nominativo del reclamante e pertanto ritiene che, nel caso di specie, non ci siano gli estremi per l’adozione di provvedimenti in merito da parte dell’Autorità;

b)  ai sensi dell’art. 58, par. 2, lett. c) e g),del Regolamento, dichiara il reclamo fondato con riguardo alla richiesta di rimozione avanzata rispetto ai restanti URL e, per l’effetto, ingiunge a Google Italy e Google LLC di provvedere alla rimozione degli stessi, nel termine di venti giorni dalla ricezione del presente provvedimento, quali risultati di ricerca reperibili in associazione al nominativo del reclamante, invitando altresì ai sensi dell’art. 157 del Codice a comunicare, entro trenta giorni dalla data di ricezione del presente provvedimento, quali iniziative siano state intraprese al fine di dare attuazione a quanto ivi prescritto. Si ricorda che il mancato riscontro a tale richiesta di comunicazione è punito con la sanzione amministrativa di cui all'art. 166, comma 2, del Codice.

Ai sensi dell’art. 78 del Regolamento, nonché degli artt. 152 del Codice e 10 del d. lg. 1° settembre 2011, n. 150, avverso il presente provvedimento può essere proposta opposizione all’autorità giudiziaria ordinaria, con ricorso depositato, alternativamente, presso il tribunale del luogo ove risiede o ha sede il titolare del trattamento ovvero presso quello del luogo di residenza dell'interessato entro il termine di trenta giorni dalla data di comunicazione del provvedimento stesso ovvero di sessanta giorni se il ricorrente risiede all’estero.

Roma, 12 giugno 2019

IL PRESIDENTE
Soro

IL RELATORE
Iannini

IL SEGRETARIO GENERALE
Busia