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Provvedimento del 29 aprile 2021 [9682038]

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[doc. web n. 9682038]

Provvedimento del 29 aprile 2021

Registro dei provvedimenti
n. 177 del 29 aprile 2021

IL GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI

NELLA riunione odierna, alla quale hanno preso parte il prof. Pasquale Stanzione, presidente, la prof.ssa Ginevra Cerrina Feroni, vicepresidente, il dott. Agostino Ghiglia e l’avv. Guido Scorza, componenti ed il cons. Fabio Mattei, segretario generale;

VISTO il Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 (di seguito, “Regolamento”);

VISTO il Codice in materia di protezione dei dati personali, recante disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento nazionale al Regolamento (UE) 2016/679 (d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101, di seguito “Codice”);

VISTO il reclamo presentato al Garante, ai sensi dell’art. 77 del Regolamento, in data 30 aprile 2020 con il quale XX, rappresentato e difeso dall’avv. XX, ha chiesto di ordinare a Google LLC la rimozione, dai risultati di ricerca reperibili in associazione al proprio nominativo, di un URL (https://...) collegato ad un servizio giornalistico trasmesso nell’ambito della trasmissione televisiva “XX” il quale “riportava informazioni false sul (…) [proprio] conto che (…) venivano smentite in parte dalla stessa trasmissione ed in parte dalla magistratura italiana”;

CONSIDERATO che l'interessato ha, in particolare, rilevato:

di essere un “luminare della medicina di specchiata lealtà, onestà e professionalità che vanta un’esperienza ultratrentennale nel settore della XX”, ottenendo nel corso della propria carriera “molteplici titoli accademici e riconoscimenti a livello internazionale, anche da parte di prestigiose Università estere”;

di aver avviato, a partire dal XX, l’applicazione della XX a pazienti affetti da XX al fine di stimolare la riproduzione delle cellule del tessuto nervoso tramite specifiche apparecchiature e di far ottenere loro, per quanto possibile, “la sensibilità delle zone lesionate e, di conseguenza, di alcune funzionalità essenziali”;

il pregiudizio derivante dalla reperibilità, in associazione alle parole chiave “XX XX”, “XX XX/XX XX/XX XX/XX  XX/XX  XX”, di informazioni legate alla propria attività professionale da ritenersi fortemente lesive della propria reputazione per le modalità con le quali le stesse sono state riportate all’interno del servizio andato in onda nel XX, essendo stato definito come “un cialtrone, senza consentirgli nessun tipo di contraddittorio”;

che gli inviati della trasmissione televisiva si sono presentati presso il suo studio il giorno antecedente la diffusione del servizio “accusandolo di promettere facili guarigioni XX, nonché di effettuare una terapia non autorizzata e non fondata su trattati e/o ricerche scientifiche e soprattutto che nessun suo paziente aveva mai conseguito alcun beneficio da questa terapia” ed affermando altresì di “essere stati contattati da alcuni pazienti a cui sarebbe stata promessa (…) la totale guarigione (…) ed il recupero di importanti funzioni vitali”;

di aver provveduto, nella settimana successiva al servizio, a mettere a disposizione della trasmissione televisiva le pubblicazioni scientifiche su cui si fonda la terapia ed a fornire agli inviati “i contatti dei numerosi pazienti che avevano tratto benefici dalla [stessa] e che si erano detti disponibili a farsi intervistare (…) e dimostrava che il trattamento XX da lui effettuato era assolutamente consentito” tanto da essere stato invitato a discuterne in numerosi convegni sul tema;

che, a seguito di ciò, la medesima trasmissione mandava in onda, la settimana successiva, un secondo servizio sullo stesso argomento “in cui venivano ritrattate le accuse al Prof. XX e che veniva intitolato “XX” –  https://... – sebbene ad oggi, digitando il nome del reclamante nel motore di ricerca di Google, appaia “soltanto il primo servizio, ovvero quello più infamante, e non il secondo in cui venivano intervistati alcuni tra i numerosi pazienti che avevano conseguito degli importanti risultati per effetto della sua terapia”, determinando con ciò un notevole danno a proprio carico;

che peraltro, a seguito della querela presentata da un paziente insoddisfatto della terapia, le indagini svolte dall’autorità giudiziaria hanno dimostrato che, in quel caso, non vi fosse stata alcuna promessa di guarigione certa da parte del reclamante, tenuto anche conto del consenso informato particolarmente dettagliato che quest’ultimo era solito consegnare ai pazienti, e che per tale motivo il procedimento a suo carico fu archiviato ritenendo che la scelta di ricorrere ad una terapia alternativa fosse frutto di una volontà consapevole del querelante senza che alcuna condotta artificiosa potesse imputarsi al medico;

che il contenuto del primo servizio, alla luce di quanto sopra evidenziato e di quanto accertato dalla magistratura, appare pertanto falso nella ricostruzione resa e che, in ragione di ciò, debba essere rimosso dai risultati di ricerca reperibili in associazione al proprio nominativo;

che l’interesse pubblico alla conoscenza della terapia XX da lui proposta risulta comunque soddisfatto dalla presenza in rete del secondo servizio – il cui titolo peraltro avrebbe una portata idonea a raffigurare, a suo parere, lo stato reale dei fatti – che contiene “un riassunto del primo, esclusi taluni attacchi gratuiti denigratori della [propria] reputazione professionale e morale ed incluse le interviste ad alcuni pazienti che si sono detti soddisfatti dei risultati conseguiti attraverso il trattamento XX”;

VISTA la nota del 30 giugno 2020 con la quale l’Autorità ha chiesto al titolare del trattamento di fornire le proprie osservazioni in ordine a quanto rappresentato nell’atto introduttivo del procedimento e di comunicare la propria eventuale intenzione di aderire alle richieste del reclamante;

VISTA la nota del 20 luglio 2020 con la quale Google LLC ha rilevato:

in via preliminare, che il reclamo proposto debba ritenersi inammissibile in quanto “esclusivamente basato sulla tutela della reputazione, dell’onore e dell’immagine del reclamante, piuttosto che sulla tutela dei suoi dati personali” tenuto conto del fatto che il medesimo lamenta esclusivamente l’asserito carattere diffamatorio del video oggetto di contestazione che, come tale, può essere azionato innanzi all’autorità giudiziaria non rientrando nella competenza del Garante;

che, in ogni caso, la richiesta di rimozione non potrebbe essere accolta trattandosi di un contenuto recente rispetto al quale deve ritenersi sussistente l’interesse del pubblico alla conoscibilità delle informazioni ivi contenute che riguardano la professione svolta dall’interessato ed attengono, nello specifico, ad una terapia medica sperimentale da lui utilizzata rispetto alla quale ha rilasciato un’intervista, unitamente ad alcuni pazienti, nell’ambito del servizio televisivo;

che l’intervenuta archiviazione di un procedimento penale avviato a carico del reclamante, e scaturito da una querela proposta da uno dei suoi pazienti, non sarebbe circostanza idonea di per sé a provare che “la magistratura avrebbe smentito le affermazioni riportate nel servizio giornalistico” oggetto di contestazione;

che non corrisponde al vero il fatto che non sussista alcun interesse pubblico alla conoscibilità del contenuto del video in questione – in quanto, a detta dell’interessato, non sarebbe aggiornato alla luce di un successivo servizio giornalistico realizzato dallo stesso programma televisivo che “smentirebbe le affermazioni riportate” in quello precedente – tenuto conto del fatto che, lungi dal ritrattare quanto affermato in quest’ultimo, il secondo dei servizi realizzati si limita ad aggiungere “ulteriori informazioni riguardanti il reclamante”;

che, infine, la richiesta di deindicizzazione per chiavi di ricerca diverse dal nome del-l’interessato, “quali “XX” o “XX””, non sarebbe ammissibile sulla base dei criteri indicati dalla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea del 13 maggio 2014 (causa C-131/12), dalle successive Linee guida del WP Art. 29 del 26 novembre 2014 e dalla costante giurisprudenza in quanto il diritto all’oblio nei confronti del motore di ricerca può avere ad oggetto esclusivamente link verso pagine web restituite a seguito di una ricerca generale effettuata a partire dal nome dell’interessato, “mentre i contenuti in questione devono rimanere disponibili per ricerche svolte con parole diverse dal nome e cognome del medesimo”;

VISTA la nota del 30 luglio 2020 con la quale l’interessato ha rappresentato che:

l’eccezione di inammissibilità del reclamo sollevata da controparte non sarebbe corretta in quanto le proprie richieste sono piuttosto dirette ad evidenziare la carenza di interesse pubblico a conoscere informazioni non veritiere sul proprio conto;

contrariamente a quanto asserito da Google, nell’ambito del secondo servizio – che riporta un titolo diverso e meno lesivo di quello collegato all’URL di cui si chiede la rimozione – sono state smentite le affermazioni false rese in precedenza e sono state trasmesse anche interviste rilasciate da persone che hanno dichiarato di avere invece tratto giovamento dalla terapia;

i pazienti, come confermato anche dalla magistratura nel provvedimento di archiviazione pronunciato nell’ambito di un procedimento attivato a suo carico su querela di uno di essi, erano ampiamente informati del fatto che si trattasse di una terapia sperimentale, rilevando infine come, digitando le parole “XX XX”, “XX XX/XX XX/XX XX/XX  XX/XX  XX”, il primo servizio de “XX” “risulta in prima pagina, mentre il secondo servizio non è mai nella prima schermata”;

CONSIDERATO, preliminarmente, che:

nei confronti di Google LLC trova applicazione, per effetto delle attività svolte in ambito europeo attraverso le proprie sedi, il principio di stabilimento e che pertanto i relativi trattamenti sono soggetti alle disposizioni del Regolamento in virtù di quanto previsto dall'art. 3, par. 1;

il trattamento di dati personali connesso all'utilizzo del motore di ricerca di Google risulta tuttavia direttamente gestito, anche per il territorio UE, da Google LLC, avente sede negli Stati Uniti;

tale circostanza è idonea a fondare, ai sensi dell'art. 55, par. 1, del Regolamento, la competenza del Garante italiano a decidere i reclami ad esso proposti con riferimento al proprio territorio nazionale;

CONSIDERATO che, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, chiunque, in un procedimento dinanzi al Garante, dichiara o attesta falsamente notizie o circostanze o produce atti o documenti falsi ne risponde ai sensi dell'art. 168 del Codice “Falsità nelle dichiarazioni al Garante e interruzione dell’esecuzione dei compiti o dell’esercizio dei poteri del Garante”;

RILEVATO, in via preliminare, che il reclamo proposto può essere esaminato solo con riguardo alla richiesta di rimozione di URL restituiti quali risultati di ricerca in associazione al nominativo dell'interessato e non con riguardo a quelli rinvenibili utilizzando chiavi di ricerca che uniscano detto nominativo ad altri termini – quali “XX” o “XX” - che non costituiscono, nel caso di specie, elementi specificativi della persona (cfr. anche provv. Garante 12.11.2020, doc. web 9522184);

CONSIDERATO, con riguardo all’istanza di rimozione dell’URL indicato nell'atto introduttivo avanzata nei confronti di Google LLC, che, ai fini della valutazione dell’esistenza dei presupposti per il riconoscimento del diritto all’oblio ai sensi degli artt. 17, par. 1, lett. c), e 21, par. 1, del Regolamento, occorre tenere conto, oltre che dell’elemento costituito dal trascorrere del tempo, anche degli ulteriori criteri espressamente individuati dal WP Art. 29 – Gruppo Articolo 29 sulla protezione dei dati personali attraverso le apposite “Linee Guida” adottate il 26 novembre 2014 a seguito della citata sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea, nonché delle più recenti “Linee Guida” n. 5/2019 adottate dall’European Data Protection Board (EDPB) il 7 luglio 2020, contenenti i criteri per l’applicazione del diritto all’oblio da parte dei motori di ricerca alla luce del Regolamento;

RILEVATO, con riguardo all’URL https://..., che:

il servizio televisivo ad esso collegato – realizzato nel XX e riguardante una terapia sperimentale utilizzata dal reclamante nel trattamento di persone affette da XX con la finalità di far riacquistare ai pazienti alcune funzioni vitali compromesse – riporta l’esperienza negativa di alcuni pazienti, esprimendo una serie di perplessità in ordine alla metodologia seguita anche alla luce delle testimonianze raccolte;

il contenuto del servizio – che, per espressa affermazione del reclamante, è riportato in forma riassuntiva anche nella parte iniziale del secondo servizio, trasmesso a distanza di una settimana dal precedente, e rispetto al quale l’interessato non ha espresso alcuna doglianza – riguarda l’attività svolta da quest’ultimo, che ha peraltro rilasciato un’intervista riportata all’interno del servizio medesimo, e pertanto, in virtù del ruolo ricoperto e della specificità dell’argomento trattato, si reputa rivestire un indubbio interesse pubblico anche in considerazione del collegamento esistente, tramite le modalità sopra indicate, con il secondo dei servizi realizzati dal medesimo programma e tuttora reperibile in rete;

il reclamante ha lamentato in via prevalente la lesione del proprio diritto alla reputazione derivante dagli aggettivi utilizzati nei suoi riguardi, e ciò a partire dal titolo del servizio, nonché dalle modalità con le quali sono state riportate le informazioni relative alla terapia da lui somministrata; il medesimo ha inoltre contestato la falsità di alcuni dei fatti riportati e la parzialità della ricostruzione effettuata nel servizio tenuto conto del fatto che la stessa si è basata sulle sole testimonianze negative rese da alcuni pazienti intervistati dall’inviato senza invece tenere in considerazione i benefici avuti da numerose altre persone da lui curate;

l’affermata carenza di interesse del pubblico a conoscere il contenuto di tale servizio è stata dunque connessa dall’interessato non tanto ai criteri che il gestore di un motore di ricerca è tenuto a valutare nelle richieste di rimozione fondate sul diritto all’oblio, quanto all’asserita non veridicità di fatti e circostanze ivi riportate evidenziando, a conferma di quanto da lui sostenuto, anche l’intervenuta archiviazione di un procedimento penale per truffa attivato nei suoi confronti a seguito della querela proposta da un suo paziente;

quest’ultimo aspetto, riguardando una singola specifica vicenda intercorsa con uno dei pazienti dell’interessato, non appare idoneo, in quanto tale, ad assumere un peso determinante al fine di reputare di scarso interesse pubblico il tema trattato nel suo complesso all’interno del servizio televisivo ed in ogni caso i profili lamentati nel reclamo non possono comunque costituire oggetto di valutazione da parte del Garante tenuto conto del fatto che l’accertamento dell’eventuale falsità di fatti e circostanze, nonché della loro portata lesiva rispetto al diritto alla reputazione del medesimo, compete all’autorità giudiziaria alla quale quest’ultimo potrà eventualmente rivolgersi;

RITENUTO, pertanto, di dover considerare il reclamo infondato in ordine alla richiesta di rimozione dell’URL sopra indicato;

RILEVATO tuttavia che:

il reclamante ha lamentato che tramite una ricerca effettuata tramite il proprio nominativo il video del quale ha chiesto la rimozione appaia, in associazione ad esso, nella prima pagina del motore di ricerca, mentre il secondo video – contenente oltre al riepilogo del primo anche ulteriori informazioni – sia invece collocato nelle pagine seguenti escludendo con ciò la possibilità che gli utenti della rete possano avere un’informazione completa della vicenda che tenga conto anche della successione temporale tra i due servizi;

pur non potendosi ritenere sussistenti i presupposti per ordinare la rimozione dell’URL oggetto di richiesta, si reputa maggiormente rispondente all’interesse del pubblico, oltreché al principio di aggiornamento delle informazioni trattate, di  disporre di una conoscenza completa dei fatti – anche in termini di sviluppo dell’inchiesta giornalistica – che risulta possibile solo prevedendo la reperibilità dei due servizi sulla base del loro ordine cronologico, dal più recente al più risalente, con ciò mutuando un criterio previsto dalla Corte di giustizia dell’Unione europea nella sentenza del 24 settembre 2019, causa C-136/17 che, pur dettato espressamente con riguardo alle categorie particolari quali i dati giudiziari, appare suscettibile di assumere una portata più ampia in conformità al principio generale di correttezza dei trattamenti;

RITENUTO pertanto di dover ingiungere a Google LLC di ordinare i risultati di ricerca in modo tale che gli URL corrispondenti ai due servizi citati nell’atto di reclamo risultino reperibili in associazione al nominativo dell’interessato sulla base dell’ordine cronologico di realizzazione degli stessi dal più recente al più risalente;

RITENUTO, ai sensi dell’art, 17 del regolamento del Garante n. 1/2019, che ricorrano i presupposti per procedere all’annotazione nel registro interno dell’Autorità di cui all’art. 57, par. 1, lett. u), del Regolamento, relativamente alle misure adottate nel caso di specie nei confronti di Google LLC in conformità all'art. 58, par. 2, del Regolamento medesimo

RILEVATO, tuttavia, che la misura adottata nel caso in esame nei confronti della predetta società discende da una valutazione effettuata dall’Autorità sulla base delle specificità del singolo caso e che, pertanto, l’iscrizione di essa nel registro interno sopra citato non potrà essere ritenuta, in eventuali futuri procedimenti incardinati nei confronti del medesimo titolare del trattamento, quale precedente pertinente ai fini previsti dall’art. 83, par. 2), lett. c), del Regolamento;

RILEVATO che, in caso di inosservanza di quanto disposto dal Garante, può trovare applicazione la sanzione amministrativa di cui all’art. 83, par. 5, lett. e), del Regolamento; 

VISTA la documentazione in atti;

VISTE le osservazioni formulate dal segretario generale ai sensi dell’art. 15 del regolamento del Garante n. 1/2000;

RELATORE il prof. Pasquale Stanzione;

TUTTO CIÒ PREMESSO IL GARANTE

ai sensi dell’art. 57, par. 1 lett. f), del Regolamento:

a) dichiara il reclamo infondato con riguardo alla richiesta di rimozione dell’URL indicato nell’atto introduttivo del procedimento;

b) ordina a Google LLC di disporre i risultati di ricerca in modo tale che gli URL corrispondenti ai due servizi citati nell’atto di reclamo risultino reperibili in associazione al nominativo dell’interessato sulla base dell’ordine cronologico di realizzazione degli stessi dal più recente al più risalente;

c) ai sensi dell’art. 17 del regolamento del Garante n. 1/2019, dispone l’annotazione nel registro interno dell’Autorità di cui all’art. 57, par. 1, lett. u), del Regolamento, delle misure adottate nei confronti di Google LLC in conformità all’art. 58, par. 2, del Regolamento medesimo, senza tuttavia attribuire a tale annotazione – per le ragioni di cui in premessa – valore di precedente in eventuali futuri procedimenti incardinati nei confronti del medesimo titolare del trattamento, ai fini previsti dall’art. 83, par. 2), lett. c), del Regolamento.

Ai sensi dell'art. 157 del Codice, si invita Google LLC a comunicare, entro trenta giorni dalla data di ricezione del presente provvedimento, quali iniziative siano state intraprese al fine di dare attuazione a quanto ivi prescritto. Si ricorda che il mancato riscontro alla richiesta di cui sopra è punito con la sanzione amministrativa di cui all'art. 166 del Codice.

Ai sensi dell’art. 78 del Regolamento, nonché degli artt. 152 del Codice e 10 del d. lg. 1° settembre 2011, n. 150, avverso il presente provvedimento può essere proposta opposizione all’autorità giudiziaria ordinaria, con ricorso depositato, alternativamente, presso il tribunale del luogo ove risiede o ha sede il titolare del trattamento ovvero presso quello del luogo di residenza dell'interessato entro il termine di trenta giorni dalla data di comunicazione del provvedimento stesso ovvero di sessanta giorni se il ricorrente risiede all’estero.

Roma, 29 aprile 2021

IL PRESIDENTE
Stanzione

IL RELATORE
Stanzione

IL SEGRETARIO GENERALE
Mattei