g-docweb-display Portlet

Ghiglia: “L’educazione civica digitale va insegnata dalle elementari” - Intervento di Agostino Ghiglia

Stampa Stampa Stampa
PDF Trasforma contenuto in PDF


Ghiglia: “L’educazione civica digitale va insegnata dalle elementari”
L’era digitale non è una semplice evoluzione di Internet ma una nuova scoperta del fuoco. Occorre, anche tramite la semplice conoscenza di parole date troppo spesso per scontate senza conoscerne il significato, gettare le basi di un nuovo “libero arbitrio digitale”. Un estratto dalla prefazione del libro “Educazione civica digitale. Abbecedario essenziale” di Agostino Ghiglia

Intervento di Agostino Ghiglia, Componente del Garante per la protezione dei dati personali
(AgendaDigitale, 18 settembre 2023)

Per i cosiddetti “nativi digitali”, ossia coloro i quali hanno bypassato macchinine e bambole per precipitarsi a slogarsi i ditini su uno schermo “touch”, la vita digitale sembra naturale, ne apprezzano la velocità, la semplicità, l’interattività, ma quanto conoscono dello strumento che hanno tra le mani o delle conseguenze del suo uso per sé stessi e per il Mondo? Troppo spesso la risposta è: troppo poco.

Quando abbiamo iniziato a imparare?

Circa 6.000 anni fa, in Mesopotamia, alcuni esseri umani iniziarono a usare segni scritti per contare e numerare. Qualche millennio dopo gli egizi svilupparono 22 geroglifici che rappresentavano le consonanti del loro linguaggio, più un 23° che probabilmente aveva la funzione di vocale iniziale o finale in una parola.

Qualche millennio dopo arrivarono i cinesi e gli ideogrammi e, successivamente, le popolazioni stanziate nel Centroamerica con i loro logogrammi, più facili da dipingere che da definire!

Sappiamo, quindi, più o meno, quando gli esseri umani hanno cominciato a scrivere, ma la vera domanda è: quando hanno iniziato ad imparare? Non credo che ci sia una risposta precisa, se non con approssimazioni di qualche centinaio di migliaio di anni ma, tutto sommato, non è così importante: la cosa fondamentale è che l’uomo, per evolversi, ha dovuto cominciare ad imparare ossia a conoscere per crescere, vivere e sopravvivere.

Chissà quante persone si sono ustionate per “scoprire” il fuoco o, meglio, per utilizzarlo, per conoscerne i rischi fino a riuscire ad utilizzarlo “consapevolmente”, con cognizione, comprendendone, man mano, le enormi potenzialità.

Noi esseri umani moderni, per fortuna, lentamente ma senza sosta, da circa 500.000 anni, conoscenza dopo esperienza, cognizione dopo comprensione, abbiamo guadagnato l’educazione, ossia un processo di crescita nei comportamenti intellettuali e pratici che dovrebbe darci cognizione, insegnarci a vivere in una società ogni giorno più complessa.

Senza scomodare filosofi e sociologi, pedagoghi e maghi, la prima cosa a cui veniamo educati, prima del bene e del male, è cosa ci fa bene o ci fa male: mangia una mela al giorno, non inghiottire l’uovo intero (e neppure con il guscio), ecc.

Successivamente, veniamo educati a distinguere il bene dal male e qui si fa dura, molto più dura… Perché se la bontà della mela e la pericolosità del guscio d’uovo sono universalmente accettati, storia, religioni, condizioni ambientali hanno, finora (e sottolineo finora), causato tante interpretazioni diverse di ciò che è bene e di ciò che è male. Sarà ancora così con la progressiva omologazione dei linguaggi tecnologici propri dell’era digitale o arriveremo ad una nuova percezione globale della realtà (del bene del male) mediata dagli strumenti e dai termini di uso comune di cui si accenna in questo libretto?

Un nuovo libero arbitrio per l’era digitale

Mi chiedo se, oggigiorno, ci può ancora venire in aiuto il sempre celebrato “libero arbitrio”.

Il buon Sant’Agostino da Ippona (della stessa squadra entrò successivamente a far parte San Tommaso d’Aquino) sosteneva che l’essere umano avesse la possibilità di scegliere tra il bene e il male; Lutero, appassionato di predestinazione, negava il libero arbitrio, Erasmo da Rotterdam lo riportava in auge mentre Cartesio cercava la verità tramite il dubbio… Qualcuno si starà chiedendo il senso di questa super sintetica digressione filosofica; ebbene il senso, nell’era digitale, si può sintetizzare in tre parole: capire, conoscere, scegliere (il bene o il male).

Chi scrive parte, infatti, dalla convinzione che l’era digitale, con il suo sviluppo supersonico, non sia una semplice evoluzione di Internet ma una nuova scoperta del fuoco, e che migliaia di anni di esperienza, di tradizione, di sviluppo, di evoluzione possano darci le basi minime di conoscenza per evitare le attuali e future ustioni tecnologiche; che occorra, anche tramite la semplice conoscenza di parole date troppo spesso per scontate senza conoscerne (ma solo intuendone talvolta distorsivamente) il significato, gettare le basi di un nuovo “libero arbitrio digitale”.

Lo so, sembra facile, ma il facile non è scontato, e come ripeteva spesso il mio indimenticato professore di Fisica al Liceo: “Dovete imparare bene le cose semplici…”.

Vivere nell’iperstoria

Vivendo nell’Iperstoria – prendendo a prestito l’illuminante ed evocativa, ma anche immaginifica, se volete, definizione di Luciano Floridi – in cui sta diventando preponderante l’interazione uomo-macchina o, peggio, la crescente dipendenza dell’essere umano dalle macchine, e abitando nell’Infosfera (un ambiente digitale in cui passiamo parti crescenti della nostra vita, la cosiddetta onlife), è indispensabile partire dall’ABC, ossia dalla conoscenza basilare delle cose (termini) semplici.

A differenza del passato, siamo transitati (e siamo stati fatti transitare) da una “vita vissuta” materialmente a una “vita accesa”, una vita estremamente reale ma trascorsa virtualmente, “da remoto”, studiando, lavorando, comunicando, amando; sempre connessi, sempre in vetrina, molto più esposti di quanto spesso riusciamo a percepire. “Sembriamo tutti messi su un palcoscenico e ci sentiamo tutti in dovere di dare spettacolo” (C. Bukowski).

Gemelli digitali da proteggere

Chiunque di noi abbia uno o più account e lo (li) usi sulle piattaforme o sui social, o disponga di un assistente vocale o dialoghi tramite il proprio smartphone, avrà uno o più gemelli digitali.

Al mattino quando ci alziamo per vedere l’ora sul nostro telefonino, infatti, svegliamo anche il nostro gemello digitale che, da quel momento, inizierà a crescere con il fluire della nostra giornata, accumulando sempre più informazioni dai nostri comportamenti: quanto camminiamo, quanto navighiamo in Rete, quanto sport facciamo, dove andiamo – tramite l’agenda – e con chi.

Se alle funzioni basiche aggiungiamo la navigazione sui social e gli acquisti sulle piattaforme o anche solo accettiamo i cookie di profilazione di un sito Internet, ecco che risvegliamo (o ne stiamo attivando altri) una moltitudine di gemelli digitali i quali si nutriranno delle informazioni che su di essi, o tramite essi, riverseremo.

Potremmo avere, quindi, un gemello Amazon, un gemello Google, un gemello TikTok, un gemello Facebook/Meta, un gemello Apple, un gemello Android … E noi che, magari, pensavamo di essere figli unici o di avere una famiglia limitata ai parenti fisici!

Conclusioni

Con questo libretto avremmo l’ambizione di dare un umile contributo per colmare un vuoto, spiegando semplicemente le cose semplici della nostra onlife quotidiana, spesso termini anglofoni non sempre conosciuti o, quantomeno, sufficientemente compresi: “Imparare senza pensare è fatica sprecata, pensare senza imparare (capire…) è pericoloso” (Confucio).