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AAA, umanità cercasi. Un pugno di like vale di più della vita di un uomo - Intervento di Guido Scorza

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AAA, umanità cercasi. Un pugno di like vale di più della vita di un uomo
Lo scorso febbraio un uomo filmò un automobilista avvolto tra le fiamme e postò il video sui social. Oggi la Procura di Roma ha chiuso le indagini contro l’autore del filmato e lo ha accusato di omissione di soccorso. La vittima dell'incidente morì dopo un mese di agonia

Intervento di Guido Scorza, componente del Garante per la protezione dei dati personali
(HuffPost, 20 settembre 2023)

“A zi hai pijato foco?”. Sono le parole che si sentono nitidamente sullo sfondo di un video che riprende un uomo completamente avvolto dalle fiamme, accanto alla sua auto sul grande raccordo anulare di Roma. A girare un video il passeggero di una macchina in transito che vede da lontano una colonna di fumo, accende la telecamera del suo smartphone, chiede all’autista di rallentare e inizia a riprendere la drammatica scena per poi inviare il filmato ai gestori di una pagina social seguitissima che, prima pubblicano e poi, ci ripensano e cancellano il filmato, travolti da commenti negativi e like, probabilmente in eguale misura. È più istintivo riprendere un uomo in fiamme e correre a condividere il filmato sui social a caccia di like che fermarsi a prestare soccorso.

Una vicenda che avrebbe dell’incredibile se non fosse la PM Silvia Sereni della Procura della Repubblica di Roma, chiuse le indagini, ha appena contestato all’autore del video il reato di omissione di soccorso.

Avrebbe potuto e dovuto fermarsi a prestare soccorso alla vittima dell’incidente, peraltro poi deceduta dopo oltre un mese di agonia, anziché perdere tempo a giocare con il telefonino e inseguire la popolarità sui social. Ma, vicenda processuale a parte, la storia, sfortunatamente, rappresenta plasticamente una deriva ormai sempre più diffusa: si riprende ogni genere di atrocità anziché soccorrere.

L’umanità travolta dalla socialità digitale. Un pugno di like vale più della vita di un uomo.

Probabilmente il confine tra la finzione cinematografica e la realtà è completamente saltato perché è difficile spiegare altrimenti cosa possa muovere una persona in carne ed ossa avvertire più impellente l’esigenza di riprendere con il proprio smartphone un uomo in fiamme e in pericolo di vita che quella di usare lo stesso smartphone per chiamare i soccorsi e fermarsi a soccorrerlo.

E, d’altra parte, nelle scorse settimane abbiamo letto degli adolescenti e poco più che adolescenti degli autori degli stupri di gruppo di Palermo e Caivano preoccupati di riprendere a turno la loro mattanza per potersi poi godere il filmato e condividerlo via social.

L’esigenza di riprendere, documentare, condividere, in questi ultimi casi, è stata persino più forte della preoccupazione di non lasciare prove di condotte di inaudita gravità.

E alla violenza disumana, si è avvertita l’esigenza di aggiungere, altra violenza disumana: riprendere per condividere, almeno accettando il rischio di condannare le vittime a rivivere per l’eternità episodi che non dovrebbero, naturalmente, appartenere alla vita di nessuno.

Che fine ha fatto l’umanità? Possibile che sia stata completamente travolta da un sistema subvaloriale nel quale i like contano più delle persone? Possibile che guardare un uomo in fiamme attraverso lo smartphone o una ragazzina violentata non solo non siano più immagini intollerabili ma, anzi, al contrario, immagini da catturare a ogni costo e da correre a condividere? Inutile, probabilmente, davanti a certi episodi evocare e invocare nuove regole, nuove leggi, nuovi divieti.

Dobbiamo metterci in testa e dobbiamo farlo in fretta che senza una massiccia campagna di

educazione all’uso consapevole del digitale, più penetrante, più incisiva, più capillare di quella con la quale si dichiarò guerra all’analfabetismo nel secondo dopoguerra, è difficile anche solo intravedere una luce in fondo al tunnel.

Non ce la possiamo fare: ignoranza e disumanità assieme alla potenza, all’accessibilità e all’usabilità dei servizi digitali sono gli ingredienti di una tempesta perfetta che si sta abbattendo sul genere umano e che lo minaccia come mai sin qui accaduto.

Educare grandi e piccini all’umanità prima che alla tecnologia, al rispetto del prossimo prima che a scrivere software, alla dignità umana prima che all’addestramento degli algoritmi dovrebbe essere considerata un’esigenza improcrastinabile e un’autentica emergenza culturale.