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"In uno stato di eccezione è lecito rinunciare a qualche libertà. Ma il nostro modello non potrà mai essere la Cina" - Intervista ad Antonello Soro

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"In uno stato di eccezione è lecito rinunciare a qualche libertà. Ma il nostro modello non potrà mai essere la Cina"
I moduli per l’autocertificazione? "La deroga per la raccolta dati non era per le forze dell’ordine". Preoccupa che "in nome dell’emergenza vengano avanzate ipotesi azzardate e irriflesse". Non servono nuove misure restrittive. Necessaria la gradualitità
Intervista ad Antonello Soro, Presidente del Garante per la protezione dei dati personali
(di Claudia Fusani, Tiscali News, 19 marzo 2020)

C’è l’emergenza sanitaria. C’è la crisi economica e finanziaria. Un paese fermo. E tra poco anche molto depresso, senza futuro e senza speranza. Sono fin troppi i fronti di crisi. Ma a questi ne va aggiunto un altro di uguale, forse anche superiore, importanza: stiamo subendo la più grave limitazione e privazione delle libertà costituzionali dal dopoguerra. Fin dove e fino a quando si spingerà la stato di eccezione a discapito dello stato di diritto? E’ solo una delle tante domande a cui ciascuno di noi, più o meno chiuso in casa, non è ben sicuro cosa rispondere. Un’incertezza, uno stato di panico e rassegnazione diffusa, che può diventare l’alibi perfetto per scorciatoie pericolose. Il Presidente Soro, cioè il Garante per la privacy, non ha dubbi: "Qualche privazione è normale ma guai ad invocare i sistemi cinesi o della Corea del sud. Il nostro modello di riferimento è solo l’Italia e l’Europa".

Presidente Soro, come giudica il sistema dei moduli per l’autocertificazione che ognuno di noi deve portare con sé se vuole uscire?

"I moduli per l’autocertificazione sono stati introdotti con una delle varie ordinanze di protezione civile che si sono susseguite a partire dalla dichiarazione dello stato di emergenza del 31gennaio. Quelle norme, su cui anche l’Autorità garante per la privacy che io presiedo è stata consultata, è la base giuridica che consente alle autorità pubbliche impegnate nel contrasto dell’epidemia di raccogliere informazioni anche sensibili. Certo, i soggetti pubblici elettivamente destinatari di tali dichiarazioni apparivano in origine il personale sanitario e di Protezione civile. Ora la stanno ricevendo anche le forze dell’ordine in servizio nella strade per contrastare l’epidemia…".

E questo non era previsto?

"Non era stato specificato, benché naturalmente la nozione di autorità pubblica sia ampio. Detto questo, siamo in uno stato di emergenza che comprime un po’ tutte le libertà a cominciare da quella di movimento".

Da due giorni il modulo prevede anche l’obbligo di autocertificare se siamo o meno contagiati o in quarantena…

"E lei, come altri, si chiederà: come faccio a scrivere sì o no se non ho fatto il test? E se se poi risultasse un falso? Questo passaggio poteva essere formulato in maniera diversa. Ma immagino possa essere interpretato come autocertificazione dell’assenza di riscontri in ordine allo stato di positività al virus".

Presidente, stiamo vivendo uno scenario non previsto, il cosiddetto "cigno nero" secondo la definizione del filosofo matematico Nassim Taleb: l’emergenza sanitaria è gravissima, così come la crisi economica e la compressione delle libertà individuali e della privacy, che sono evidenti a tutti. Come giudica nel complesso le misure adottate dal governo?

"In momenti come questo, certamente eccezionale, ci sono naturali e dovute limitazioni alla privacy. E alle nostre libertà. Tutto ciò va valutato bilanciando le limitazioni con un altro fondamentale diritto individuale e interesse collettivo: quello alla salute. Dunque, il modulo per l’autocertificazione, può essere considerato tra le limitazioni necessarie, in ottica solidaristica e preventiva, di cui certo liberarsi appena cessata l’emergenza. Quello che mi preoccupa è semmai altro".

Ad esempio?

"In questi giorni, in nome dell’emergenza e del contrasto al virus, vengono avanzate proposte, spesso anche azzardate e irriflesse. Proposte di tracciamento massivo digitale dei cittadini, con app di ogni genere fondate sull’idea che un incremento della sorveglianza individuale possa essere utile al contrasto e alla conoscenza del fenomeno epidemiologico".

Scusi la sintesi: proposte pericolose per la democrazia?

"Guardi, usare la tecnologia per migliorare la qualità delle nostre vite, in questo caso addirittura proteggerle, è certamente un obiettivo giusto, che condivido. Esiste poi un passaggio successivo, assai delicato e ancora più importante: questi nuovi strumenti andrebbero valutati sulla base di un progetto serio, visibile e conoscibile, ispirato a principi generali di trasparenza, proporzionalità e coerenza tra obiettivo perseguito e strumenti usati. Per fare questa valutazione servono progetti concreti e valutabili. Invece in queste ore così difficili temo che a volte possa prevalere l’idea di "fare come la Corea del Sud" o "come la Cina". Bene, dico qui con forza e chiarezza che non sono questi i modelli cui ci dobbiamo ispirare".

Perché la Cina è una dittatura e un regime e la Corea del Sud non brilla per il profilo democratico, no?

"Il modello cinese, con la sua sorveglianza totale, figlia di una sorta di imperialismo digitale, non può essere un nostro riferimento. Neppure quello coreano perché in Corea c’è una cultura di fondo, sociale e giuridica, molto distante dalla nostra. Quello che voglio dire è che pensare di trasferire meccanicamente quelle esperienze nel nostro paese è il frutto di momento emotivo che, arrivo a dire, può essere giustificato. Ma chi ha la responsabilità di governare si deve ispirare alla nostra Costituzione e non al governo dell’emozione. Anche in tempo di guerra il diritto deve guidare la scelta di atti necessari".

L’espressione "siamo in tempo di guerra" è molto usata. Anche da autorevoli esponenti dell’amministrazione pubblica. Il neonominato commissario Arcuri ha detto che "serve un’economia di guerra". Pericoloso?

"Ripeto, anche in tempi di guerra - e quella che stiamo vivendo in qualche modo lo è - il diritto deve guidare la scelta di atti necessari. La nostra Costituzione deve essere il punto di riferimento per ogni scelta e decisione. E persino in stato di guerra, la Costituzione ammette la delega al Governo (e dunque l’alterazione della normale simmetria dei poteri) per i soli atti necessari".

Il commissario Borrelli, direttore della Protezione civile, dice avete già discusso di un ipotetico confine invalicabile tra diritto alla privacy e diritto alla salute. E avete concluso che, cito Borrelli, "il diritto alla salute viene prima visto che senza salute non ci può essere privacy". E’ così?

"Il Garante per la privacy e la Protezione civile hanno interloquito su questo tema. Il Garante ha dato parere favorevole al primo provvedimento, successivo di soli due giorni al decreto che il 31 gennaio dichiarava la sussistenza dello stato di emergenza, nella forma più grave tra quelle normativamente previste. Sono gli stessi poteri che vengono attribuiti al Commissario in occasione di terremoti e altri eventi particolari. In situazioni di emergenza è previsto un diverso bilanciamento tra i diritti individuali e costituzionali. Non è stata opportuna, ad esempio, una serie di iniziative fai-da-te nei posti di lavoro tra chi poteva entrare e chi no. E’ stata decisa una disciplina unica e ci siamo uniformati. Il ruolo del Garante in momenti così difficili, che non immaginiamo siano di breve durata, è quello di sorvegliare per trovare la giusta misura ed evitare pericolose deleghe in bianco. Dobbiamo però collaborare con chi ha il difficile compito di governare dinamiche nuove, sconosciute ai più. Di sicuroservono gerarchie di controllo".

In Lombardia hanno usato le celle dei telefoni cellulari per capire se le persone si spostano da casa. Questo è corretto?

"Sì se si tratta di dati effettivamente anonimi che  descrivono i flussi di mobilità ma non identificano le persone. Altro sarebbe se si volessero raccogliere dati identificativi: in questo caso servono garanzie adeguate e norme precise con limiti temporali. Il tema, nella stagione che stiamo vivendo, è che comunque dobbiamo perdere la quota delle nostre libertà necessaria al contrasto della pandemia".

Assomiglia molto a ciò che sta facendo Israele: Netanyahu ha deciso di impiegare sistemi di tracciamento militari per controllare le persone contagiate.

"Non conosco nel dettaglio ciò che sta facendo Israele. Dico che in ogni caso non è compatibile con il nostro sistema se realizza una sorveglianza di massa. E in ogni caso, noi abbiamo un sistema costituzionale assai diverso".

Anche oggi 475 decessi. Siamo arrivati quasi a tremila morti dal 21 febbraio. Sono vite prima che numeri. E fanno impressione. È doveroso e necessario conciliare lo stato di eccezione che stiamo vivendo con lo stato di diritto facendo attenzione a non far prevalere il primo sul secondo?

"Certo, il nostro ordinamento ha gli anticorpi per fare questo. Abbiamo vissuto e superato la stagione del terrorismo e degli anni di piombo senza minare i cardini della nostra Costituzione. E’ giusto subire e accettare limitazioni dei diritti, purchè conformi ai principi generale del nostro ordinamento".

Detta così sembra una contraddizione ma si può e si deve fare. Intravede segnali o comportamenti che la preoccupano?

"Ad esempio, non è momento di improvvisazioni né di espressioni infelici come chi dice "io della privacy me ne frego". La privacy è diritto alla libertà. E come se dicessero "io della libertà me ne frego". Dobbiamo accettare regole che senza dubbio ci limitano in nome di un bene superiore senza però mai dimenticare che la forza del nostro Paese è sempre stato il modello democratico. Voglio dire che il nostro modello è l’Italia, l’Europa e non la Cina".

C’è chi parla di test clinici a tappeto per tutti gli italiani, chi dice che le misure devono essere ancora più severe. Il governo sembra intenzionato a muoversi in questo senso. Magari sarebbe più utile far rispettare le regole che già ci sono. Fino a che punto può arrivare la compressione di diritti individuali?

"Bisognerebbe anzitutto orientarsi secondo un criterio di gradualità e dunque valutare se le misure meno invasive possano essere sufficienti a fini di prevenzione. Se sono necessarie e proporzionate. Ad esempio, apparirebbe sproporzionata la geolocalizzazione di tutti i cittadini italiani, 24 ore su 24, non soltanto per la massività della misura, non fosse altro perché non esiste un divieto generale e assoluto di spostamento: la gigantesca mole di dati così acquisiti, ancorché gestibile, non avrebbe una effettiva utilità. L’emergenza deve poter contemplare ogni deroga possibile purché non irreversibile; non dev’essere, in altri termini, un punto di non ritorno ma un momento in cui modulare prudentemente il rapporto tra norma ed eccezione".

Un altro tema urge in queste ore: come deve funzionare il Parlamento ai tempi del virus? Il Parlamento è spaccato, in modo trasversale: c’è chi chiede di lavorare a distanza, soprattutto Pd e 5 Stelle; chi vuole invece che il Parlamento trovi il modo di esercitare come sempre la funzione di controllo sugli atti del governo. Oggi una ventina di deputati, Fratelli d’Italia, gruppo Misto e Italia viva, erano in aula per chiedere di convocare la Camera. Salvini ha fatto un appello analogo per il Senato. Come può il Parlamento lavorare bene e in sicurezza?

"Il Garante per la privacy ha totale rispetto per l’autodichia parlamentare, non posso certo dire io al Parlamento, dove sono stato vent’anni, cosa deve fare. Personalmente posso dire che condivido le considerazioni fatte dal Presidente della Repubblica che ha richiamato l’importanza di mantenere efficiente il sistema parlamentare. Qualcosa può essere fatto a distanza? Bene. Ma in questo caso le nuove tecnologie sono residuali. Non si dovrebbe mai rinunciare al fatto di incontrarsi, ragionare, parlare confrontarsi. In una parola: stare in Parlamento".