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Amministrazione della giustizia - Misure a tutela della riservatezza dei ricorrenti - Somministrazione di emoderivati infetti - 21 febbraio 2000 [...

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 [doc. web n. 40237]

Amministrazione della giustizia - Misure a tutela della riservatezza dei ricorrenti - Somministrazione di emoderivati infetti - 21 febbraio 2000

L´Autorità ha segnalato al Governo e al Parlamento la necessità di introdurre norme che bilancino meglio le esigenze processuali di accertamento pieno e trasparente dei fatti e delle connesse responsabilità, con l´esigenza di garantire la riservatezza dei soggetti coinvolti in alcune vicende giudiziarie, nelle quali siano esposti ad ulteriore rischio aspetti particolarmente delicati della persona.


IL GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI

In data odierna, con la partecipazione del prof. Stefano Rodotà, presidente, del prof. Giuseppe Santaniello, vice presidente, del prof. Ugo De Siervo componente e del dott. Giovanni Buttarelli, segretario generale;

VISTA la legge 31 dicembre 1996 n. 675, e successive modificazioni ed integrazioni;

VISTA la nota inviata dall´ Avv. ..., pervenuta il 6 luglio 1999;

VISTI gli atti d´ufficio;

VISTE le osservazioni formulate dal segretario generale ai sensi dell´art. 7, comma 2, lettera a) del d.P.R. 31 marzo 1998 n. 501;

RELATORE il prof. Ugo De Siervo;

PREMESSO:

L´avv. ..., intendendo promuovere presso il Tribunale di … un giudizio nei confronti del Ministero della sanità per il risarcimento dei danni subiti dai propri assistiti, affetti da sindromi contratte a seguito della somministrazione di emoderivati infetti, si è rivolto al Garante sollecitando una pronuncia circa l´opportunità che gli uffici giudiziari, e il predetto Tribunale in particolare, adottino misure a tutela della riservatezza dell´identità dei ricorrenti.

A sostegno della propria richiesta il legale, nel richiamare la disciplina prevista in materia di protezione dei dati personali dalla legge 31 dicembre 1996, n. 675 (in particolare, artt. 4 e 9), nonché alcune norme vigenti in materia di tutela della riservatezza in specifici settori d´interesse, adduce l´esigenza di scongiurare il pericolo che gli interessati rinunzino a chiedere il risarcimento dei danni loro spettanti per il timore delle più gravi ripercussioni che potrebbero derivare dalla conoscibilità delle patologie che li hanno colpiti.

Sul presupposto dell´applicabilità della predetta normativa al caso di specie, il difensore prospetta, quale possibile soluzione, l´adozione di misure che consentano di far circolare nell´ambito del procedimento solo le copie degli atti processuali e della documentazione connessa "depurate" delle complete generalità degli interessati, ferma restando la possibilità che tali copie siano confrontabili, tramite un´apposita "chiave", con gli originali depositati presso l´ufficio giudiziario.

CIÒ PREMESSO, IL GARANTE OSSERVA:

Non vi è dubbio che l´esigenza prospettata sia meritevole di considerazione, attesa l´estrema delicatezza e sensibilità dei dati personali oggetto del procedimento ed il conseguente alto rischio che la loro diffusione produca conseguenze gravi, se non addirittura irreparabili, nella vita privata dei soggetti interessati. Benché le norme processuali antecedenti alla legge n. 675/1996 non siano state ancora rivisitate in dettaglio per essere integrate e modificate alla luce dei nuovi principi in materia di trattamento dei dati personali introdotti dalla legge stessa (come era previsto dalla legge delega n. 676/1996), la legge n. 675 ha però reso immediatamente e direttamente applicabili all´attività svolta "per ragioni di giustizia" presso uffici giudiziari alcuni obblighi sulle modalità e sulla sicurezza del trattamento (art. 4, comma 2, legge n. 675, in riferimento al comma 1, lett. d), del medesimo articolo).

Ci si riferisce, in primo luogo, al dovere di rispettare i principi di correttezza e di "pertinenza" nel trattamento dei dati, in base ai quali possono essere trattati e diffusi i soli dati necessari al perseguimento delle finalità istituzionali (art. 9). Si ha riguardo, in secondo luogo, all´obbligo di adottare tutte le cautele necessarie a garantire la sicurezza dei dati trattati. Sotto quest´ultimo aspetto, in attesa che le singole amministrazioni (ivi compresa quella della giustizia) diano attuazione al regolamento approvato dal Governo in materia di misure minime di sicurezza a decorrere dal 29 marzo 2000 (d.P.R. n. 318/1999), ciascun ufficio giudiziario è tenuto, come ogni altro soggetto pubblico e privato cui si applica la legge n. 675, ad adottare "idonee e preventive misure di sicurezza" "in modo da ridurre al minimo" i rischi di distruzione dei dati e di accessi non autorizzati agli stessi (art. 15, commi 1 e 2, l. n. 675/1996).

Tali principi sono stati più volte richiamati dal Garante in vari provvedimenti riguardanti trattamenti svolti in ambito giudiziario (all. 1). In diverse occasioni, questa Autorità ha poi richiamato l´importanza delle misure volte a scongiurare la diffusione di notizie attinenti alla salute dell´individuo, segnatamente quando si tratti di sindromi potenzialmente pregiudizievoli della vita privata della persona (all. 2).

Al riguardo, va osservato che le misure organizzative e di sicurezza cui ha fatto riferimento il legale istante (invio di comunicazione scritta ai soggetti interessati con un invito al più ampio riserbo; conservazione dei fascicoli in cassaforte) pur significative, non esauriscono le misure necessarie per assicurare una tutela piena ed effettiva della riservatezza delle persone coinvolte in una vicenda così delicata.

Va inoltre osservato che la mancata adozione durante le varie fasi processuali di più efficaci cautele condiziona, nei fatti, il diritto di difesa costituzionalmente tutelato potendo comportare - come si accennava in premessa - la rinunzia della parte lesa ad esercitare il proprio diritto al risarcimento dei danni per il timore delle più gravi ripercussioni che potrebbero derivare, nella vita privata e professionale, dall´ampia conoscibilità delle patologie sofferte.

La circostanza che i suddetti principi della legge n. 675 non sono stati ancora ulteriormente sviluppati sul piano normativo per ciò che riguarda le attività di giustizia non deve far ritenere inoperanti i principi stessi, i quali dovrebbero essere già oggi tradotti in concrete misure attuative anche di carattere organizzativo, opportunamente modulate in rapporto alle diverse vicende processuali (v. ad esempio, l´art. 286 bis c.p.p. in tema di custodia cautelare in caso di infezione da HIV e di AIDS).

A tutto ciò non deve essere considerato di ostacolo quanto constatato in una recente pronuncia del Tribunale di Roma, il quale ha più semplicemente affermato che le attuali disposizioni processuali non permettono di redigere l´atto introduttivo di una controversia – o di intervento in essa – menzionando le sole iniziali dell´interessato anziché le sue generalità (Tribunale di Roma 27 novembre 1998, in Foro it., 1999, c. 313). Il Tribunale non ha infatti affrontato o messo in discussione le opportune misure che potrebbero essere già oggi adottate nel corso del processo, nei termini sopra auspicati.

In questa prospettiva, va richiamata l´attenzione su una recente tendenza dell´ordinamento a tutelare in ogni sede, in modo particolarmente rigoroso, la dignità e la riservatezza di persone sieropositive o malate di AIDS o emotrasfusi.

In particolare va tenuto conto di alcune disposizioni di settore (cui fa, opportunamente, riferimento il legale nella nota in esame) le quali, benché non individuino specifiche cautele processuali, impongono, a seconda dei casi, agli operatori sanitari o a "chiunque" venga a conoscenza di particolari infezioni nell´esercizio delle proprie funzioni, di adottare, "nell´ambito delle proprie competenze", "tutte le misure occorrenti per la tutela della riservatezza della persona assistita" (art. 5 della legge n. 135/1990, in materia di riservatezza negli accertamenti sanitari nei confronti di persone affette da HIV o da AIDS; art. 3, comma 1-bis, della legge 210/1992, introdotto dalla legge n. 238/1997, per gli aspetti di tutela della riservatezza dei soggetti danneggiati da trasfusioni di emoderivati infetti).

Va peraltro colta l´occasione della presente pronuncia per una doverosa segnalazione al Governo e al Parlamento circa l´opportunità che siano introdotte al più presto alcune norme di raccordo in materia che contemperino meglio le esigenze processuali di accertamento pieno e trasparente dei fatti e delle connesse responsabilità, con l´altrettanto importante esigenza di garantire, con ogni mezzo possibile, la riservatezza dei soggetti coinvolti in alcune vicende giudiziarie, nelle quali siano esposti ad ulteriore rischio aspetti particolarmente delicati della persona.

Nell´espletamento di tale compito il legislatore potrebbe sviluppare specie sul piano processuale i principi affermati dalle descritte disposizioni, le quali, benché contenute in normative attinenti a specifici contesti (accertamenti sanitari; esame delle domande di ristoro dei danni subiti per emotrasfusioni infette), presentano, "de iure condendo", una forte valenza anche "programmatica" nell´ordinamento, connessa alla delicatezza degli interessi tutelati.

Può essere opportuno tener conto anche di una recente disposizione che prevede espressamente l´adozione di cautele a tutela della riservatezza da parte dell´autorità giudiziaria, disposizione introdotta dal regolamento sui benefici economici a carico del Fondo antiracket ed antiusura. La norma consente infatti al pubblico ministero di adottare "le necessarie cautele per assicurare la riservatezza dell´identità" delle vittime degli atti estorsivi o di usura che abbiano denunciato i fatti di reato per cui si procede, in ragione delle comprensibili ripercussioni che la diffusione delle generalità potrebbe avere sulla loro incolumità, a causa di prevedibili azioni di ritorsione (art. 13, comma 5, l. 23 febbraio 1999, n. 44).

Nel parere espresso sullo schema di tale regolamento, il Garante aveva richiamato anche l´attenzione degli organi preposti all´applicazione della normativa, diversi dall´autorità giudiziaria, sull´opportunità di adottare misure che dessero continuità alle cautele disposte in sede processuale. Tale richiamo ha sortito effetti positivi ove si considerino le istruzioni impartite dal Commissario anti-racket ed antiusura agli organi periferici del Ministero dell´interno circa la necessità di una "rigorosa applicazione di misure organizzative ispirate a canoni di assoluto riserbo".

Copia della presente pronuncia verrà trasmessa per opportuna conoscenza ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, al Ministero della giustizia e alla Presidenza del Consiglio dei ministri per quanto di competenza.

Ulteriore copia verrà inviata agli uffici giudiziari interessati nel caso di specie affinchè valutino, nell´esercizio delle proprie prerogative, l´opportunità di adottare calibrate misure atte a delimitare l´ambito di conoscibilità dell´identità degli interessati (ad esempio, laddove ciò sia strettamente necessario e da parte di un numero circoscritto di operatori) e ogni altra cautela che sia idonea ad assicurare la riservatezza delle persone interessate.

Roma, 21 febbraio 2000

IL PRESIDENTE
Rodotà

IL RELATORE
De siervo

IL SEGRETARIO GENERALE
Buttarelli