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Mercati digitali, c'è l'accordo sulle regole ma la strada da percorrere è ancora lunga - Intervento di Guido Scorza MilanoFinanza

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Mercati digitali, c'è l'accordo sulle regole ma la strada da percorrere è ancora lunga
Intervento di Guido Scorza, componente del Garante per la protezione dei dati personali
(MilanoFinanza, 31 marzo 2022)

Come è, ormai, noto lo scorso 24 marzo il Consiglio e il Parlamento europei hanno trovato un accordo sul testo del Digital Market Act, punta di diamante del nuovo pacchetto di regole con le quali la Commissione europea è fermamente intenzionata a richiamare all'ordine le celeberrime Gafam (Google. Amazon, Facebook, Apple e Microsoft), frattanto ribattezzate in Gamam, in ragione del cambio di nome di Facebook, ora Meta. II testo del Dma uscito dai negoziati, nella sostanza, riflette, al netto di pochi passaggi e della taratura di alcuni parametri quantitativi, la proposta originaria della Commissione europea.

L'idea di fondo è che nei mercati digitali vi siano una pattuglia di soggetti (più o meno, allo stato, proprio le Gafam o Gamam) definiti gatekeaper che, essenzialmente in ragione delle loro dimensioni, vengono considerati «sorvegliati speciali» e resi destinatari di una serie di obblighi straordinariamente stringenti, finalizzati a scongiurare il rischio (che, in realtà, è già certezza) che con la loro attività comprimano, oltre la soglia del sostenibile. la libertà di mercato in danno della piccola e media impresa europea e dei consumatori. Quando vi sarà un sospetto che un gatekeeper abbia violato le regole, lo si presumerà colpevole e stara a lui dimostrare il contrario e, se non vi riuscirà, potrà essere destinatario di una sanzione pecuniaria decisamente salata: fino al 10% del suo fatturato la prima volta, e fino al 20% se tornasse a violare le regole una seconda o una terza volta.

In sostanza si guarda a questi gatekeeper come i lilliputziani guardavano a Gulliver: a prescindere da quali fossero le sue intenzioni e da come fosse arrivato a Lilliput, il semplice fatto di essere così enormemente più grande di tutti lo rendeva tanto pericoloso da avvertire l'esigenza di limitarlo nei movimenti con una rete infinita di piccole e meno piccole corde e funi. I Gulliver del digitale saranno, stando al testo appena uscito dal negoziato, le società con un fatturato annuo nell'Unione di almeno 7,5 miliardi di euro negli ultimi tre anni, una valutazione di mercato superiore ai 75 miliardi di euro, almeno 45 milioni di utenti finali mensili e almeno 10 mila utenti business nell'Unione europea. E la rete lilliputziana regolamentare si articola in un insieme di vincoli che mirano essenzialmente a fare in modo che nessuno dei Gulliver digitali possa trarre vantaggio dalla circostanza di operare contemporaneamente su più segmenti del mercato digitale e a obbligarli a condividere con i più piccoli, a condizioni non discriminatorie, una serie di dati e servizi, come se si trattasse, almeno nella sostanza, di essential facilities senza le quali non è possibile operare sul mercato.

Ecco le principali funi che costituiscono la rete: garantire agli utenti il diritto di risolvere un contratto con una piattaforma con la stessa facilità con la quale lo hanno concluso e non imporre agli stessi utenti l'utilizzo di software importanti (per esempio browser) predeterminati quando acquistano un dispositivo o scelgono di usare un certo sistema operativo. Garantire l'interoperabilità delle funzionalità di base dei propri servizi di messaggistica instantanea e consentire agli sviluppatori di app un accesso equo alle funzionalità supplementari degli smartphone (per esempio chip Nfc), nonché fornire ai venditori l'accesso ai dati sulle prestazioni di marketing o pubblicitarie nell'ambito di una certa piattaforma.

E ai gatekeeper sarà anche vietato autoclassificare, nei propri motori di ricerca o nei propri store, i propri prodotti o servizi più in alto rispetto a quelli dei concorrenti, riutilizzare i dati personali raccolti nell'ambito di un servizio per un altro servizio, stabilire condizioni sleali per gli utenti business propri potenziali concorrenti, richiedere agli sviluppatori di app di utilizzare determinati propri servizi (per esempio quelli di pagamento) perché le app siano distribuite nei propri store. Osannato da questa parte dell'oceano e temuto (forse, sin qui, come nessuna disciplina europea) dall'altra parte, in particolare, naturalmente, dalle big tech, sebbene con diversa intensità, il Digital Market Act resta, nonostante il recente accordo su un testo condiviso, ancora solo una «grande promessa». Non solo perché ci vorranno diversi mesi, nella migliore delle ipotesi, perché anche il Parlamento (dove, certamente, la lobby delle big tech darà battaglia senza frontiere) lo approvi e, poi, almeno stando al testo sul quale è stato raggiunto l'accordo, un ulteriore periodo di sei mesi per la sua diretta applicazione nei diversi paesi membri ma anche e soprattutto perché la rete lilliputziana messa a punto per evitare che i Gulliver digitali facciano danni richiederà tempo per essere stesa, fissata, iniziare a funzionare.

Insomma, il Digital Market Act è, decisamente, un sistema regolamentare complesso che sta venendo alla luce con relativa facilità cavalcando un'onda politica alta, veloce e apparentemente inarrestabile perche caricatasi in anni di vani tentativi di mettere il sale sulla coda alle big tech che, dal canto loro, non hanno voluto o saputo autoregolarsi, ma al quale non sarà altrettanto facile dare attuazione e veder applicato in maniera efficace.

Questo, senza dire, che non è così scontato che nei prossimo anno le Gamam e le altre società che una volta in vigore il Dina rischiano di essere qualificate quali gatekeeper, non modifichino i loro modelli tecnologici e di business in maniera tale da eludere, in un modo o nell'altro, le maglie della rete con la quale la Commissione vorrebbe imbrigliarle.

Perché, a voler provare a resistere alla tentazione di schierarsi con chi osanna il DMA come con chi lo detesta, occorre riconoscere che l'obiettivo perseguito è sacrosanto, i "vizietti" delle big tech identificati sono quelli giusti, o meglio, quelli che hanno storicamente consentito a una manciata di società di diventare big in meno di vent'anni, ma gli strumenti individuati per richiamare all'ordine queste ultime sono più in linea con quelli che in genere si leggono nel dispositivo di un provvedimento antitrust ex post che non con le disposizioni di una legge che è tanto meglio scritta, moderna e future proof quanto più è generale e astratta.

Se, da una parte è vero, che l'esercizio in corso con il DMA e con il DSA che verrà politicamente e culturalmente ricorda molto quello che le stesse Istituzioni europee hanno fatto qualche anno fa con l'ormai famoso Gdpr, il Regolamento generale sulla protezione e libera circolazione dei dati personali, dall'altra occorre riconoscere che il Gdpr ha lo straordinario merito di raccogliere principi generali più che regole di dettaglio, iI che gli consente (e, probabilmente consentirà) di governare, magari con qualche piccolo aggiustamento, diverse stagioni tecnologiche.

Non sembra, sfortunatamente, questo il caso del Digital Market Act ma. naturalmente, starà a chi sarà chiamato ad applicarlo e attuarlo fugare questo rischio.

 

Scheda

Doc-Web
9757024
Data
31/03/22